Dopo l’abbuffata di burgerie, negli ultimi tempi assistiamo al fiorire di ristoranti specializzati nella proposta di carne tout court. Puntano sulla qualità e hanno tra i propri punti di forza varietà delle provenienze, dei tagli e delle preparazioni, tracciabilità e garanzia delle filiere e dei metodi di allevamento, cotture che valorizzano i diversi tagli, frollature lunghe che esaltano il sapore e regalano nuove esperienze di gusto. Il tutto proposto in locali contemporanei, dal design curato, molto lontano dal look delle bracerie tradizionali. Così termini come dry aging (frollatura a secco), wagyu o steakhouse sono entrati nel vocabolario comune, grandi vetrine di frollatura fanno sempre più spesso bella mostra di sé all’interno dei locali o, addirittura, si offrono alla vista dei passanti. E degustazioni verticali di carni di diverse maturazioni appaiono nei menu.
Insomma, mangiare carne è cool. E mentre da un capo all’altro della Penisola le macellerie chiudono, i ristoranti specializzati in carne si dedicano anche alla vendita al dettaglio. Ora, l’abbinamento di somministrazione e retail non è nuova. Negli anni scorsi sono stati proprio i macellai a lanciare nuove formule di ristorazione a tema carne. Tra i pionieri possiamo ricordare Dario Cecchini a Panzano in Chianti, i fratelli Damini di Damini & Affini di Arzignano (Vi), o Sergio Motta, con bottega a Inzago e ristorante a Bellinzago (Mi). Così come non è nuova la presenza di formule di ristorazione specializzate in carne, dalle tradizionali bracerie a formule di catena come Roadhouse Grill. Per non parlare dei locali che hanno rilanciato il consumo del quinto quarto in chiave contemporanea, come i milanesi Mangiari di Strada e Macelleria Popolare di Giuseppe Zen.
Tutte esperienze che, probabilmente, hanno preparato il terreno per l’attuale riscoperta e rivalutazione della carne, con l’apertura di una nuova generazione di ristoranti a tema. Una nicchia di mercato, certo, ma significativa, perché in controtendenza rispetto alle mode culinarie dell’ultimo decennio, in cui anche mediaticamente si è data grande attenzione a vegetariani e vegani (che rappresentano pur sempre solo il 7% della popolazione italiana, con i vegani in sensibile discesa nel 2018).
Che l’accento sulla carne premium sia la tendenza del momento lo dimostra, per esempio, l’apertura lo scorso dicembre a Ottaviano (Na) di Bifburger Exclusive, proprietà della famiglia Bifulco, macellai da 4 generazioni che, oltre ai negozi, gestisce da anni la Braceria, sempre a Ottaviano, e l’hamburgeria Bifburger di San Giuseppe Vesuviano. Il nuovo locale occupa una palazzina di 3 piani. Al pianterreno, la macelleria con grandi vetrine refrigerate, il banco della gastronomia e un banco bar per spuntini veloci. Salendo, si incontra prima il lounge bar per pranzi veloci e aperitivi, poi il ristorante braceria da 100 posti a sedere con cucina a vista e brace. La famiglia Bifulco seleziona carni bovine per lo più allevate in Campania e in Basilicata di razze autoctone come la podolica o la marchigiana beneventana, o provenienti da più lontano, come la scottona dal Veneto o la manzetta dei Laghi della Masuria, in Polonia. La frollatura è fatta con la tecnica del dry aging da un minimo di 60 a un massimo di 250 giorni.
Altro esempio. Beef Bazar, a Roma, steakhouse aperta nel 2017 nel quartiere Prati. Due piani per un totale di 800 mq, 250 posti a sedere, due bar e un banco della carne. Il progetto: offrire un’ampia varietà di carne da tutto il mondo - Scozia, Irlanda, Argentina, Australia, Giappone, Stati Uniti, ma anche Danimarca e Polonia - e di diverse tipologie (inclusa la carne di zebra dal Kenya) a prezzi accessibili (si può cenare con meno di 40 euro). La carne non viene cotta sulla tradizionale griglia a fuoco libero, ma su Grillvapor, una tecnlogia che mantiene la carne morbida e succosa. In menu non c’è solo carne alla griglia, ma anche tartare e carpacci, primi e piatti dal sapore fusion, twist on classic come la carbonara all’arancia, oltre ad alcune opzioni per vegetariani.
Flame & Co è invece il concept ideato dallo chef friulano Marco Carraro con un gruppo di soci e che oggi conta cinque locali tra Friuli e Veneto. Si tratta di una brasserie di nuova generazione, che mette la carne al centro dell’offerta e che abbina “il buono delle proposte al bello della location”. La carne proviene da tutto il mondo (Italia, Stati Uniti, Germania, Scozia, Spagna, Francia, Polonia, Uruguay, Irlanda), viene frollata per periodi variabili, proposta in un’ampia varietà di tagli (T-bone, picaña, asado, chuck roll e così via), cotta o sul barbecue X-Oven o impiegando altre tecniche di cottura. In menu anche carni crude, battute e tartare, hamburger gourmet, galletto alla brace e piatti per vegetariani.
Per la Griglia di Varrone, concept oggi presente a Milano e Lucca, il patron Massimo Minutelli si è ispirato al basco Asador Extebarri. Anche in questo caso, il menu abbraccia un’ampia offerta di tagli e carni di provenienze diverse, tra cui Black Angus americano e australiano, wagyu giapponese, Rubia Gallega, fassona piemontese. La cottura è su griglia alimentata con legno di quercia. In carta ci sono anche pinchos, tartare, sashimi di carne, burger, salumi (tra cui la breasaola di wagyu), animelle e acciughe e un paio di piatti vegetariani. E tra i contorni, la carta dei puré di patate affumicate.
Baker Omari Bakker, Milano
Baker è il proprietario (col fratello Hamudi), di origini palaestinesi, di questo ristorante aperto lo scorso ottobre. Appassionato di carne, Baker da qualche anno ha scoperto la frollatura a secco. L’offerta è incentrata sulla carne di Black Angus da Australia, Irlanda e Stati Uniti, proposta in versione classica o dry aged. La maturazione avviene in un frigorifero apposito che include una parete di sale rosa dell’Himalaya. Le fiorentine dry aged (70 euro per 500 g, 120 per quella da 1 kg) stagionano per 120 giorni, le entrecôte (60 euro) per 80. La carne, senza marinature, viene poi cotta su una griglia a carbone e servita senza salse, perché, parola di Baker: «Deve essere gustata nel modo più naturale possibile». Il menu comprende piatti ispirati alla cultura del proprietario, come il freekeh (zuppa di grano verde affumicato), l’hummus di ceci o gli arancini mediorientali, e alcune opzioni vegetariane e, tra i dessert, ananas alla brace.
Otto Mattivi Hidalgo e Aomi, Postal (Bz)
Mattivi è un appassionato della carne di qualità fin dal ‘73, quando un viaggio in Argentina gli fece scoprire “quanto buona può essere la carne”. Nel 1980 apre il ristorante Hidalgo, puntando sulla carne argentina, poi allargando la sua ricerca a tutto il mondo. Oggi il ristorante serve, tra l’altro, Creekstone, Black Angus e Ocean Beef dalla Nuova Zelanda, nonché carni diverse da quelle bovine, come agnello e cervo. Da quattro anni la carne (15-20 selle alla volta) matura con la tecnica del dry aging per 6-8 settimane. Diversi viaggi in Giappone hanno fatto conoscere a Mattivi la carne di wagyu. Per la degustazione delle diverse declinazioni regionali (Kobe, Kagoshima e da un paio d’anni anche il wagyu di un allevamento altoatesino) è stata dapprima creata una tasting room con atmosfere orientali. Dal 2019 questo ristorante nel ristorante ha un’identità più precisa, separata da quello dell’Hidalgo, sancita dal nuovo nome: Aomi.
Milena Vio Valhalla, Milano
Valhalla è un ristorante a tema vichingo il cui menu è incentrato sulla carne. Aperto da qualche mese, è nato da un’idea di di Igor Iavicoli e Milena Vio, appassionato di carne il primo, di mitologia scandinava la seconda. Un binomio che, nel menu, si traduce nell’utilizzo di carni di selvaggina (cervo della Nuova Zelanda, cinghiale italiano) o di allevamento (vitello, agnello, maiale) cotta alla brace o con la tecnica della bassa temperatura. «I vichinghi - racconta Milena Vio - mangiavano principalmente carni cacciate o di allevamento, cotta sulla brace o bollita, senza spezie. Noi proponiamo le stesse carni, ma preparate con ricette moderne». Per esempio, la carne di cinghiale viene in un primo tempo marinata sottovuoto con birra e poi è cotta alla brace in un forno Estro Thermorossi, che va a carbone o a legna e permette anche di affumicare. Tutti i piatti hanno nomi scandinavi e si cena con 40-45 euro.
Roberto Costa Macellaio RC, Milano e Londra
Il sottotitolo del logo recita: The butcher’s theather. L’inglese è dovuto al fatto che il genovese Roberto Costa ha aperto quattro ristoranti a Londra (poi saliti a cinque) prima di avventurarsi nella prima apertura italiana, a Milano, nel maggio 2018.
La teatralità della scena, appare subito a chi entra o anche solo passa di fronte al ristorante milanese: luci da palcoscenico e sipari di velluto rossi mettono la carne al centro della scena. «Qui il meglio dei cinque anni a Londra - dice Costa - è racchiuso in un unico concetto»: la fassona piemontese del macellaio Oberto è la protagonista indiscussa, servita fresca o frollata fino a 9 settimane, accompagnata da una selezione di vini da tutta Italia. In menu anche pasta fatta in casa, focaccia e pissa genovese, quinto quarto e primi piatti. Da novembre e per tutto l’inverno, il pranzo della domenica reinterpreta la tradizione del bollito con diversi tagli di carne, salse, mostarde e brodo di carne.