Gli sconosciuti di Host. È questo il soprannome che si sono autoassegnati, dopo un anno di lavoro da outsider, in quel di Fiumicino, dove hanno aperto il loro ristorante nell’aprile del 2017. Piano piano, però, i riconoscimenti hanno iniziato ad arrivare e lo chef Alessandro Capponi e la sua compagna Francesca Mangia, che si occupa della sala, sono diventati un po’ meno sconosciuti, anzi si stanno facendo sempre più apprezzare dalla clientela.
I due hanno rispettivamente 37 e 34 anni e molte esperienze nella ristorazione: sempre in cucina lui, che è passato dall’Uliveto dell’hotel Cavalieri e dalle cucine del Rainbow, noto bistrot vegano della capitale, dove ha affinato le sue conoscenze tecniche nella trasformazione dei vegetali; un curriculum fra cocktail e vino è quello che invece vanta Francesca, che ha iniziato la professione lavorando come barmaid, per poi appassionarsi all’enologia.
Il passo successivo è stato quello di mettersi in gioco, dando vita a un proprio progetto di ristorazione: una trentina di coperti per una cucina che spazia dal pesce al vegetariano e vegano, rispecchiando sia la vocazione del posto che le esperienze dello chef. Il risultato è un menu in cui si alternano i piatti di pesce a quelli vegani tout court, mentre alcuni possono essere entrambe le cose, a seconda se si decide di aggiungere o eliminare l’elemento marino.
«Host è un locale destinato a un target di clientela medio-alto, anche nell’età, e la sfida è farli discostare dalle aspettative da ristorante di Fiumicino». Ovvero cucina di pesce o moderna e stellata (a poche centinaia di metri ci sono Pascucci al Porticciolo e il Tino di Lele Usai) o legati molto più alla tradizione marinara. Host si è collocato un po’ nel mezzo di questa offerta, con la sua cucina creativa e moderna e i prezzi da bistrot, facendosi apprezzare anche dai colleghi del posto. Tanto che, forti della buona accoglienza ricevuta, gli stessi “sconosciuti di Host” coltivano l’idea di creare una rete dei ristoranti di Fiumicino per ridare impulso a questa destinazione spesso solo di passaggio, vista la vicinanza dell’aeroporto.
In carta, non mancano i piatti più tradizionali, ma la parte innovativa passa per i giochi di trasformismo dei classici, come la bagna caoda, una rivisitazione vegana della tipica ricetta piemontese, dove la nota marina è data dalle alghe al posto delle acciughe. La carbonara si trova fra gli antipasti e viene servita con un tocco iodato dato dai ricci di mare, mentre le linguine ajo, ojo, peperoncino, zenzero, spirulina nascono come un piatto vegano, ma perdono questa caratteristica se ci si aggiunge il crudo di gamberi. Fra i “giochi” proposti dallo chef, una golosissima crème brûlée al caffè che è un dessert, ma si presenta come una colazione.
Tre le opzioni di menu degustazione fra cui la clientela può scegliere, a partire dalla vegan a 50 euro, passando per la cena di pesce a 55 euro: «In questo caso ci si affida totalmente allo chef - spiega Francesca - altrimenti, sempre per tutto il tavolo, è possibile comporre il proprio menu autonomamente, con un’aggiunta di 10 euro». Per quanto riguarda la scelta delle materie prime, lo chef Capponi privilegia la stagionalità e la provenienza locale, del pesce in primis, per il quale ha fidelizzato alcuni fra i più noti pescatori della zona, che spaziano sulla costa da Fiumicino all’Argentario. Fiumicino è infatti un polo di pesca famoso sul lungomare laziale, grazie alla sua darsena e alla quotidiana asta del pesce. Non mancano tuttavia le chicche, come la bottarga norvegese di merluzzo o l’alga spirulina, acquistati grazie ai più importanti players della fornitura di alta qualità, come Longino&Cardenal, che Capponi sceglie soprattutto per i ricci di mare, oppure High Quality Food, a cui fa riferimento per le ostriche.
Scelte di nicchia anche nel reparto vini, a cui è dedicata una cantina a vista. «Cerchiamo di scegliere vini non commerciali - spiega Francesca Mangia - con una naturale prevalenza per bianchi e bollicine, dal momento che si adattano meglio sia alla cucina di pesce che a quella vegana». A parte alcuni Champagne, per cui sale il conto, c’è attenzione anche ai prezzi, che partono dai 24 euro e resta su una media non troppo alta, con punte che arrivano a un massimo di 100 euro.