La ripresa del mondo fuori casa ci sarà, ma sarà lenta. La pandemia ha costretto gli italiani a cambiare i propri stili di vita, dando molto spazio alla dimensione domestica, e, quando l’emergenza sanitaria sarà conclusa, con tutta probabilità passerà del tempo prima che le persone ricomincino a frequentare abitualmente ristoranti e bar (a farlo per primi saranno i più giovani con una prevalenza maschile). Tuttavia, il timore per la salute, non ha cancellato la voglia di convivialità nei locali con amici o familiari.
Più spesa
Tra i fenomeni di cui tenere conto nell’affrontare il futuro c’è l’ascesa dell’home delivery e del take away, cui i consumatori si sono abituati a ricorrere e che molti locali hanno introdottto a causa delle restrizioni: una consuetudine, questa, che manterranno soprattutto le persone disposte a spendere di più. Poi c’è la digitalizzazione, che ha fatto un balzo in avanti con l’emergenza sanitaria e che avrà un impatto non solo per quanto riguarda gli acquisti ma anche in relazione alle modalità di comunicazione con i clienti.
A delineare questo scenario è il “Rapporto Coop 2020 - Economia, Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Nomisma e il supporto di analisi di Nielsen, basandosi anche su due indagini, una su un campione di 2mila individui rappresentativo della popolazione sopra i 18 anni e una sulla community del sito italiani.coop che ha coinvolto 700 opinion leader e market maker.
Cosa succederà
«I lockdown impediscono forzosamente una frequentazione simile a quella precedente di tutto l’outdoor - osserva Albino Russo, direttore generale dell’Associazione Nazionale Cooperative Consumatori Coop -. Abbiamo cercato di indagare cosa succederà quando la pandemia sarà conclusa: quello che emerge è una tendenza dei consumatori a una minore frequenza del fuori casa, non solo per la ristorazione, bar e pub, ma in generale per le attività al di fuori della dimensione domestica, come il cinema, le manifestazioni, i viaggi. Questo non significa che sarà un atteggiamento diffuso su tutti i consumatori: però sono in maggioranza coloro che dichiarano che resteranno di più a casa. Probabilmente ci vorrà tempo per recuperare la consuetudine a uscire dopo un prolungato periodo in cui le persone sono state costrette tra le mura domestiche. Una nuova normalità, per attività come la ristorazione, bar, pub e locali potrebbe attestarsi tra il 10% e il 15% sotto il livello pre-Covid. Non mi aspetto che questa inversione di tendenza sia definitiva, ma ci sarà una fase di transizione che durerà del tempo. Insomma, ci sarà un contraccolpo positivo rispetto a oggi, ma manterremo comunque un livello più basso almeno per alcuni mesi».
Come si andrà al ristorante?
Infatti, alla domanda su quanto ci si immagina di andare al ristorante, al bar o al pub nel 2021, il 39% dichiara che ci andrà come prima, il 20% lo farà più che in passato, mentre il 41% frequenterà meno questi luoghi. «C’è una distinzione: i giovani andranno fuori come prima, quindi saranno i primi a recuperare una frequenza extradomestica, mentre gli anziani lo faranno dopo. C’è anche una differenza tra i generi: le donne tendono ad avere una presenza più domestica, mentre gli uomini hanno più voglia di uscire», sottolinea Russo. In generale le previsioni per il 2020 per i consumi fuori casa segnalano una riduzione della spesa del 31% e del 37% sulle visite rispetto all’anno precedente. Il canale che verrà impattato meno è il quick service con un calo delle presenze del 31% rispetto al segmento travel&leisure che perderà quasi il 50% delle visite.
Se da un lato c’è un sentimento di timore per la propria salute, dall’altro però la voglia di convivialità è forte. A mancare è soprattutto la componente sociale: il 43% degli intervistati dichiara di provare nostalgia per le occasioni conviviali con gli amici al ristorante, al 34% mancano queste occasioni con la famiglia, al 30% manca godere dell’ambiente e dell’atmosfera di un locale, mentre il 29% ha nostalgia di poter bere qualcosa e trascorrere la serata fuori casa.
Delivery in crescita
In tutto ciò, un fenomeno di cui tenere conto è rappresentato dall’home delivery e dal take away, che stanno vivendo un vero e proprio boom, spinti dalle limitazioni imposte per il contenimento del Coronavirus. La consuetudine di consumare a casa pasti consegnati a domicilio o ritirati con l’asporto è alimentata da un ampliamento dell’offerta, dal momento che un crescente numero di ristoranti, bar e pub, adattandosi alla situazione emergenziale, ha introdotto per la prima volta questo tipo di servizi.
Questo contesto ha permesso l’espansione del fenomeno del food delivery che nel 2020 raggiunge i 706 milioni di euro di vendite, con un incremento del 19% rispetto all’anno precedente. Il settore, secondo le previsioni, in 2 anni aumenterà la propria base clienti del 14%, con 8 italiani su 10 che nel 2021 useranno questi servizi.
E cresce anche l'offerta
«Certamente l’home delivery è in crescita: sta aumentando l’offerta estendendosi non solo ai grandi centri urbani, ma anche nelle aree periferiche e alle città di dimensioni medie e piccole - afferma il direttore generale -. In futuro alcune fasce della popolazione tenderanno a risparmiare non solo sul fuori casa ma anche sul food delivery, mentre nei segmenti alto spendenti ci sarà una crescita di questi servizi che restano rivolti a una clientela più elevata culturalmente e in termini di reddito».
Altro trend in ascesa è relativo all'online. «Cresciuto non solo per quanto riguarda gli acquisti, ma anche nelle forme di comunicazione pre e post vendita», osserva Russo. Su questo fronte c’è da tenere presente che le persone hanno necessariamente familiarizzato con l’acquisto del cibo online; a fianco dell’e-commerce puro però i consumatori sembrano voler scegliere soluzioni miste: il clicca e ritira per esempio passa dal 7,2% delle vendite online del 2019 al 15,6% nella fase successiva alla pandemia.
Italiani pessimisti
Il tutto in un contesto di incertezza, in cui gli italiani si rivelano essere i più pessimisti d’Europa e in effetti insieme agli spagnoli registrano il più ampio peggioramento delle proprie condizioni di vita rispetto al 2019.
Contemporaneamente però nel nostro Paese solo il 5% delle famiglie afferenti alla classe media prevede di scivolare nelle classi più basse nei prossimi anni; d’altro canto il 38% pensa di dover far fronte nel 2021 a seri problemi economici e tra questi il 60% teme di dover intaccare i propri risparmi o di essere costretto a chiedere un aiuto economico al Governo, ad amici, parenti e banche, mentre c’è un 17% che prevede un miglioramento delle proprie condizioni economiche l’anno prossimo.
Senza dimenticare che, a causa della pandemia, si sono volatilizzati 12.500 miliardi di dollari di Pil mondiale in un anno, che sono 170 i Paesi che subiranno una contrazione del Pil procapite nel 2020, e che, secondo le stime, solo nel 2023 il nostro Paese ritornerà ai livelli pre Covid.
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