Per gli italiani, la pasta secca rimane uno dei comfort food più amati. Lo dimostra il fatto che durante il lockdown della primavera 2020 le vendite hanno raggiunto livelli record: chiusi in casa, il primo riflesso di molti è stato quello di combattere l’ansia riempiendo la dispensa di alimenti rassicuranti e appaganti, pasta in primis. Nel 2021 i consumi sono tornati sui livelli del 2019, a loro volta costanti da alcuni anni. Ciò non toglie che la pasta secca sia una presenza importante sulle tavole domestiche: facile da preparare, versatile, sazia con poca spesa.
E sulle tavole dei ristoranti? Per molto tempo il motivo di vanto dei ristoranti gourmet è stata la pasta fresca fatta in casa, che permette di esaltare la manualità e l’impegno, anche di tempo, del cuoco. Quella secca, al contrario, era considerata più banale, popolare, facile. È stato il lavoro di molti pastifici in tutta la Penisola a far riscoprire e apprezzare la pasta secca di alta qualità, prodotta con metodi artigianali tradizionali, spesso partendo da grani selezionati. Consentendo così a molti cuochi di rivalutare le possibilità tecniche ed espressive offerte da questi prodotti. Naturalmente, molti chef, specie al Sud, hanno sempre offerto piatti a base di pasta secca.
1Paolo Barrale: la storia di un territorio
«In Campania, la pasta secca è un prodotto storico del territorio, con vere eccellenze come la pasta di Gragnano Igp. Di conseguenza, ha una valenza al ristorante gastronomico e non può mancare in menu». Sono le parole di Paolo Barrale, chef dell’Aria Restaurant di Napoli, che continua: «Io cerco di non allontanarmi troppo da quel che si aspetta chi vuole gustare la pasta al ristorante a Napoli». In particolare, “stravolgere la texture” di una materia prima di alta qualità come la pasta secca di Gragnano è una cosa che “forse non si deve fare”.
«Occorre - dice - rispettare un prodotto di alta artigianalità». Per valorizzare questo prodotto, bisogna considerarlo come uno dei elementi di un concerto, che deve “suonare” in armonia con gli ingredienti del condimento. Barrale, che usa pasta artigianale del pastificio irpino Graziano, bilancia i sapori della salsa in base alla consistenza del formato. La “carnosità” di un pacchero, per esempio, richiede un condimento dai sapori pieni e forti, «che non spariscono al cospetto della pasta», per esempio un grande ragù napoletano o una salsa a base di pomodori del piennolo vesuviani.
Una proposta di Barrale sono i mezzi paccheri con salsiccia e friarelli (nella foto). Piatto apparentemente semplice, derivato dalla tradizione, è rivisto in una versione moderna in cui le salsicce sono di seppia, mentre la presenza del rafano aumenta la piccantezza e zenzero e limone danno freschezza al piatto. Altro esempio, le linguine con crudo di scampi, in cui la pasta cotta al naturale viene condita con un olio aromatizzato con carapaci di scampi, yuzu kosho fatto in casa, latte di mandorla e completato con caviale e formaggio vegetale grattugiato.
2Errico Recanati: pasta anche alla brace
Errico Recanati, chef patron del ristorante Andreina di Loreto (An), è famoso per le cotture alla brace e allo spiedo, esaltate dal supporto di tecniche sperimentali e originali. Sulle sue griglie personalizzate cuoce di tutto: carne, pesce, verdure, pasta… Sì, pasta.
Come la cacio e pepe ai 7 pepi (nella foto): gli spaghettoni Bernardo Cavalieri cuociono 8 minuti in acqua bollente, riposano in acqua a 60 °C per altri 5 minuti, vengono passati sotto acqua fredda, quindi vengono ripassati alla brace per 6 minuti con la tecnica del cappello (quest’ultimo una specie di coperatura ideata da Recanati, per trattenere i fumi della brace) per intensificare calore e profumi. Infine, vengono mantecati sul fuoco con una crema a base di acqua di cottura, pecorino di fossa e Parmigiano e la miscela di 7 pepi. L’idea di questo piatto, racconta Recanati, «è nata per chiudere il cerchio di tutto un menu alla brace, mancava, infatti, un punto al percorso di brace con un ingrediente tipicamente italiano come la pasta». Lo chef rivela che, oltre agli spaghetti, sta lavorando anche su due nuovi formati, un pacchero e una mezza manica. In passato sono stati fatti anche degli gnocchi ripieni, sempre alla brace. In tutto, finora ha realizzato 5-6 ricette di pasta alla brace.
Recanati ha in carta anche un piatto a base di pasta servito a fine pasto. Si tratta dei Capellini d’angelo. La ricetta prevede la realizzazione di un brodo molto intenso con funghi precedentemente cotti alla brace. I capellini vengono saltati in un intingolo di fungo e yuzu, si fa poi scivolare la forchetta nella ciotola che si bagna nel brodo di funghi. Questa ricetta è servita a fine pasto “proprio perché ha le caratteristiche ideali per pulire la bocca”, conclude lo chef.
3Valentina Rizzo: la pasta non può mancare
«La pasta secca è sempre in carta», racconta Valentina Rizzo, chef de La Farmacia dei Sani di Ruffano (Le), nel cui menu ci sono di norma tre tipi di pasta secca e uno di pasta fresca. La pasta in questione è la Di Martino di Gragnano, trafilata in bronzo.
«La pasta è un cibo che conforta e dà sicurezza. Noi lavoriamo intorno a questa idea di tranquillità per innovare e proporre nuovi sapori e abbinamenti che a casa non si gustano», dice. Come nel caso degli spaghettoni alla colatura di alici, pistacchi e limone, un piatto di famiglia in carta da 13 anni e sempre un bestseller, che Rizzo ha ripensato in chiave moderna senza stravolgerlo.
Apparentemente semplice, richiede una perfetta dosatura della colatura e offre una complessa stratificazione di sapori: la pasta al dente viene mantecata fuori fuoco con la colatura, olio, mollica di pane insaporita e tostata in padella per dare croccantezza, zeste di limone candito leggermente con una soluzione di zucchero e sale. Una proposta recente, che ben esemplifica l’approccio di Rizzo, è invece mafalde mantecate in latte di mandorla (con mandorle amare) con garum di funghi, mantecato fuori dal fuoco e servito tiepido (nella foto).
4Domenico Marotta: un legame con la tradizione
Come spesso accade, dunque, la tradizione è il punto di partenza dell’innovazione intelligente. «A me piace molto lavorare con la pasta secca, rappresenta un legame con la tradizione del nostro territorio», afferma Domenico Marotta, chef del ristorante Marotta di Squille (Ce) . Proprio per questo, però, «al ristorante occorre proporla nel modo giusto per renderla accattivante e interessante».
Un esempio del suo approccio è la pasta e patate, un classico campano di cui Marotta segue la preparazione tradizionale, giocando con gli ingredienti «per renderlo più piacevole: i corallini di pasta di Gragnano sono cotti in acqua di patate affumicata e mantecati con provola, lime (che aggiunge acidità), cipolline, emulsione di teste di gambero, uova di merluzzo e salsa verde.
I corallini (nella foto) sono un formato che Marotta ama molto, così come gli spaghettini sottilissimi. Questi ultimi «accompagnano la salsa alla bocca senza sovrastarne il sapore, come farebbe uno spaghetto più grande», dice. Conditi con una crema di cime di rapa scivolano in bocca, permettendo di apprezzare appieno il condimento. La pasta, dunque, non è protagonista assoluta, ma «supporto, un veicolo per la salsa». La cottura è veloce e richiede attenzione per non farla scuocere e il piatto va servito e mangiato subito.
Tutti abbiamo punti di riferimento domestici per determinati piatti e sapori che ci accompagnano fin dall’infanzia. In una città come Napoli chi vuol proporre la pasta secca in maniera innovativa deve lavorare trovando un equilibrio tra le aspettative date dal patrimonio gustativo degli ospiti e la disponibilità a sperimentare qualche novità.
5Antonio Passariello e la macrobiotica
Antonio Passariello, chef del partenopeo My Seacret, è un appassionato di macrobiotica e gli piace talvolta inserire ingredienti della cucina giapponese nelle ricette napoletane. «Molti clienti - racconta - si aspettano di mangiare piatti tipici. Io cerco di rispettare il gusto della ricetta classica, ma uso tecniche evolute. L’importante, per me, è il ricordo del gusto. Poi, sta al cuoco cambiare struttura e presentazione e, a volte, “correggere” cotture tradizionali per renderle più sane e leggere, migliori sotto il profilo organolettico». Tra le sue proposte troviamo i Rigatoni con crema di friarielli, popcorn di maiale e bottarga di tonno e spuma di provolone del Monaco (nella foto). Oppure il Fusillone allo scorfano con salsa al prezzemolo, crumble di olive nere di Gaeta e pinoli. Tra i piatti allo studio per il prossimo menu, anticipa, ci sono delle linguine con cozze, zafferano, caviale e spirulina. In carta, Passariello ha sempre almeno due piatti a base di pasta secca (una corta e una lunga), oltre a un risotto e a uno di pasta fresca.
6Matteo Metullio e Davide De Pra: un formato per ogni produttore
Per Matteo Metullio e Davide De Pra, i due chef dell’Harry’s Piccolo Restaurant & Bistrò di Trieste, la pasta secca è irrinunciabile in carta ed è anche un cibo del cuore: «Adoro la pasta secca, per me gli spaghetti al pomodoro sono il comfort food per eccellenza, li mangerei tutti i giorni», dice Metullio. I formati usati dai due chef sono vari e di diversi produttori top: spaghettini, paccheri, mezzi paccheri, linguine, pasta mischiata. «Ogni produttore, per quanto bravo, ha un formato che gli riesce meglio. Per questo abbiamo in dispensa marchi diversi. Io adoro la pasta del Sud, che ha molto amido, visto che quel che voglio dare come impronta è una mantecatura cremosa, che lega». Un altro criterio di scelta è la durata della cottura: in un ristorante, un formato che cuoce in 20’ non sempre è gestibile e si opta per un prodotto dello stesso formato di pari qualità, che cuoce in minor tempo. I piatti che i due propongono puntano sia sulla tradizione che sulla creatività: «Facciamo sia lo spaghetto all’astice che lo spaghetto freddo con astice crudo», esemplifica Metullio. Tra i piatti firma del ristorante ci sono le linguine di dondoli (un mollusco bivalve tipico del golfo di Trieste, dove vengono chiamati tartufi) (nella foto), che fanno parte del menu Adriatico. Un piatto legato al territorio, ispirato alle classiche paste ai frutti di mare, che qui vengono aperti saltandoli con prezzemolo, aglio, olio vino bianco e peperoncino. L’acqua di cottura viene filtrata e unita a una salsa beurre blanc a base di fumetto di pesce in cui vengono poi “risottate” le linguine. Il risultato, dice Metullio, è una pasta golosa, affumicata nel piatto utilizzando una cloche.