Al Moma di Roma la materia prima viaggia su binari paralleli per far convivere, sotto un unico tetto, fine dining e bistrot: i tagli “nobili”, destinati alla cucina stellata, rimangono al piano superiore, mentre le parti “povere” sono valorizzate nell’offerta dell’altro ristorante, più informale e alla portata di tutti. Uno sdoppiamento in apparenza semplice, che però richiede buona organizzazione del lavoro, razionalizzazione degli spazi e ottimizzazione dei tempi. Dando inoltre vita al concetto di “bistronomia”. Tutto in un locale di 280 mq in stile minimal (sedute di pelle, acciaio, travertino, vetro e legno wengé), flessibile anche nella proposta giornaliera: dal mattino, ore 7,30, colazione con tortini, cornetti, paste frolle e altre golosità prodotte nel laboratorio di cucina sul retro che a metà mattinata comincia a scaldare i muscoli per servire, in pausa pranzo, i piatti del bistrot rivolti a una clientela d’impiegati e funzionari, siamo in zona via Veneto, a due passi dall’ambasciata Usa: una proposta di qualità più semplice, veloce e abbordabile (18-20 € per un piatto e il dessert). Nel frattempo, sempre in pausa pranzo, la cucina stellata propone un menu degustazione in versione ridotta a 4 portate (6 a cena), oppure alla carta; proposta comunque più rapida, adatta a chi ha tempo, ai turisti gourmet o per un pranzo di lavoro.
Si cambia registro nel tardo pomeriggio e in vista della cena il Moma indossa deciso gli abiti serali del ristorante stellato, molto più frequentato da un pubblico internazionale: l’aperitivo si fa in bistrot, che diventa spazio d’accoglienza - cocktail, calici di vino - e la cucina dello chef Andrea Pasqualucci si gusta nelle eleganti sale del piano superiore; una ventina di ricette di stagione (più inserimenti periodici) giocate sulla riconoscibilità degli ingredienti e l’esaltazione dei sapori, equilibrate, ben composte, visivamente stuzzicanti come l’antipasto di Ostrica, composta di scalogno e cavolo cappuccio fermentato, salsa di Champagne, con top di caviale d’aringa affumicata, cipolla fritta, foglie di nasturzio oppure i Mezzi rigatoni, rapa rossa, erborinato di capra, pimpinella su una base d’aglio nero e succo di conserva di visciole; e fonduta d’erborinato con miele e senape.
E che dire di una presenza costante in menu come il Crudo e cotto di pesci in guazzetto? È una ricetta di stagione che lo chef ha portato a livelli alti: combina, in base al pescato, carpacci di crudo (scorfani, triglie, tracine) e “cotti su misura”, ingrediente per ingrediente (seppie, calamari, ombrine, ricciole, etc); il tutto bagnato in un brodetto agrodolce colato caldo davanti al cliente.
In parallelo a questa linea di cucina lo chef dedica molta attenzione a ridurre al massimo gli sprechi valorizzando tagli poveri e cosiddetti scarti. Un esempio su tutti: i filetti e la parte centrale del pescato sono utilizzati per i piatti stellati, le porzioni finali vicino alla coda per le tartare del pranzo e la testa valorizzata in vari modi; per esempio viene cotta a vapore e usata insieme alla guancia per le Polpette di pesce, servite al bistrot. «Una cucina che utilizzasse soltanto certi tagli e solo prodotti nobili sarebbe economicamente insostenibile - spiega Gastone Pierini, proprietario e ideatore del Moma insieme al fratello Franco -. Quest’idea di valorizzazione e di diversificazione dell’offerta l’avevamo già introdotta a La Buvette, un ristorante da noi aperto nel ’94 e ceduto nel 2001. Ma al Moma è diventato un concetto fondamentale in una proposta volutamente etica, certa, di qualità e poggiata su fornitori di filiera corta».
I Pierini sono imprenditori romani della ristorazione con lunga gavetta alle spalle e quasi 60 anni d’impresa: Piccola Roma, Caffè Italiano, La Fattoria nell’89, La Buvette nel ’94 e di altre insegne della piazza capitolina. Nel 2003 è la volta del Moma con un lavoro ininterrotto sulla qualità che verrà incoronato dalla Michelin con l’assegnazione della stella, nel 2018. « È stato un passaggio importante, una soddisfazione personale e un nuovo slancio imprenditoriale - sottolinea Pierini - e ha portato tanta clientela, soprattutto straniera, che segue la Michelin». Il riconoscimento, certamente, non sarebbe arrivato senza l’impegno costante, anno dopo anno, sulla qualità del cibo, la professionalità della sala, la cantina e lo sviluppo di una filiera il più possibile corta, di territorio e vicinato. Le carni, ad esempio, dalla Macelleria De Angelis, di quartiere; le erbe aromatiche da Erba Regina, zona Castelli Romani; verdure e ortaggi dall’Orto di Clapi; le carni di cortile da allevatori di Lazio, Marche e Toscana, distribuiti da Fedro; il pesce da Purificato, di Formia (Lt). Insomma materie prime selezionate, controllate e di stagione per una cucina fresca e contemporanea.