Se le grandi catene di ristorazione usano spesso il rosso e il giallo nella loro immagine coordinata, un motivo c’è. Il rosso cattura l’attenzione, il giallo invece trasmette benessere e felicità. In genere sono considerati colori che stimolano l’appetito, mentre il blu, colore rassicurante per eccellenza, è il reietto della tavolozza per quanto riguarda l’appeal di un piatto.
Ma non è solo questione di scatenare l’appetito. Perché la vista ci influenza tanto, al punto da farci cambiare la percezione o l’intensità di un sapore, e quindi a scegliere di conseguenza. È, infatti, uno dei sensi più sviluppati nell’essere umano, sicuramente per ragioni storiche/culturali.
Il colore influenza le scelte
Alcuni studiosi di neuromarketing stimano che il colore possa determinare fino all’85% della decisione d’acquisto di un prodotto.
Per questo negli ultimi 20 anni si sono moltiplicati gli studi sui colori e le reazioni dei consumatori. «Vale anche al ristorante - spiega Riccardo Migliavada, che studia proprio il legame tra colori e scelte nel campo del cibo all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo -: dal menu al piatto, fino alla divisa del personale di sala, il colore contribuisce enormemente alla definizione di cosa è buono e cosa non lo è».
Cominciamo proprio dalla costruzione del menu: «I colori vanno scelti in funzione della narrazione che si vuole costruire. Un ristorante vegano e attento al tema della salute si orienterà al verde nella comunicazione visiva della carta. viceversa, una lista di proposte tutta “in verde” che serve piatti di carne alla griglia, trasmette una palese incongruenza. E questa distonia crea confusione nel cliente».
Oltre al menu, è dimostrato che fattori esterni al cibo come ambiente, posate, piatti e tavola hanno una rilevanza molto importante nella percezione, nel gradimento e, in ultima analisi, nella scelta.
Attenzione al mismatch
Charles Spence, professore di psicologia sperimentale di Oxford, ha condotto per anni studi su questo. E così scopriamo che una mousse di fragola, servita in un piatto bianco, viene percepita circa il 10% più dolce rispetto alla stessa mousse presentata in un piatto nero. Che il piatto rotondo bendispone, mentre quello quadrato, con i suoi spigoli, dà l’effetto contrario. O che i colori dell’ambiente associati a emozioni positive ci inducono a pensare che il gusto della pietanza sia migliore.
C’è di più. Spiega Migliavada: «Il colore influenza l’intensità del sapore percepito, ma ci serve anche per l’identificazione del cibo, una operazione importantissima che il nostro cervello fa quando ha di fronte qualcosa che deve essere ingerito. Un succo di arancia colorato di blu è più difficile da identificare, perché il colore naturale dell’arancia e del suo succo è l’arancione. Se propongo un piatto al pomodoro senza il rosso, è molto rischioso. Rischio di abbassare il livello di apprezzamento, a meno che la mancanza del colore naturale del pomodoro sia inserita in una convincente narrazione del piatto. In altre parole, va evitato il mismatch. Se io propongo un cibo con un mismatch, disattendo una aspettativa. Se c’è mancata corrispondenza tra colore e sapore, tradisco il cervello e ho una reazione negativa». Il ristoratore può mettere una pezza con la sua capacità di raccontare, e allora «anche un gelato rosa al salmone può trovare consenso. Serve la cornice di senso, per far apprezzare un piatto così».
Negli ultimi dieci anni queste conoscenze sono diventate il motore per la creazione di esperienze di ristorazione costruite attorno al visual. «Pensiamo a Ultraviolet di Paul Pairet, aperto nel 2012 a Shanghai, una stanza con 12 coperti con schermi alle pareti che proiettano immagini in continuo mutamento; colori e ambientazione cambiano a ogni piatto. Una realtà immersiva, il tutto per favorire l’apprezzamento del piatto, per esaltarne le caratteristiche»
Oltre alle percezioni di sapore, c’è quella quantitativa. La porzione è eccessiva o scarsa? A suggerirlo al cervello è anche il contrasto cromatico tra cibo e piatto. «Influenza la quantità di cibo consumato. Questi risultati derivano da ricerche legate al mondo del self service: se c’è meno contrasto cromatico il cliente tende ad aumentare la quantità di cibo. Ad esempio, su un piatto bianco prenderà molta pasta in bianco; viceversa, vi metterà una minor quantità di pasta rossa».