
La pasta secca, che sia lunga o corta, a detta di tutti gli chef intervistati, è un piatto che non può assolutamente mancare nel menu di un ristorante italiano. La ricerca di pastifici che lavorano bene, con farine di altissimo livello e con essiccazioni lente che consentono di portare a tavola struttura e gusto, è sempre più all’ordine del giorno. La tipologia di pasta, in formato lungo o corto, varia a seconda del sugo di accompagnamento, anche se lo spaghetto resta indubbiamente quello più utilizzato e spesso anche più apprezzato dalla clientela. I tempi di cottura, a volte piuttosto lunghi della pasta secca artigianale, portano gli chef a optare per determinati formati come lo spaghettino, per esempio, ritenuto da molti non il figlio minore dello spaghettone, ma un qualche cosa capace di esaltare al meglio il condimento, e con un’ottima prestazione in termini di velocità di servizio e di sapore. Anche la ricerca di paste più tecniche, e quindi con una resa a livello di amido maggiore, o di meno tecniche, è dettata dalla ricetta che si vuole creare, che sia calda o fredda, più strutturata a livello di gusto o meno.
1Alessio Ninci e Lorenzo Chirimischi del ristorante Santabarbara a Firenze
Sperimentatori per eccellenza, gli chef Alessio Ninci e Lorenzo Chirimischi del ristorante Santabarbara a Firenze, inaugurato da poco, nella loro micro cucina riescono a offrire piatti di pasta di grande estro e creatività, dove gusto, sapore ed equilibrio sono elementi imprescindibili. «La pasta secca è una pietra miliare della cucina italiana e gioca un ruolo centrale anche nel nostro ristorante. Vero è che la fresca consente tempi di servizio più veloci, ma ciò che riesce ad offrire al palato la pasta secca è un qualche cosa a cui difficilmente si può rinunciare. Sia io che Lorenzo la amiamo, anche per gli svariati formati che sa offrire, corti o lunghi che siano. Utilizziamo ad esempio le ruote “pazze” di Benedetto Cavalieri che prediligiamo per il loro spessore pronunciato. Adoriamo però anche gli spaghetti che sono indubbiamente il simbolo dell’italianità. Ci piace sperimentare vari marchi e cambiare a seconda di ciò che vogliamo ottenere a tavola. Ci serviamo a volte di Mancini, a volte di Felicetti, di Fabbri o di Gherardo di Nola che offre un prodotto molto tecnico che in cottura tira fuori molto amido». Tra i piatti avuti in carta che hanno fatto la felicità di tanti palati amanti del mare ci racconta lo spaghetto con lievito arrosto, ricci di mare e Champagne. «Di base è un piatto semplice da preparare. Ciò che è più complesso è la ricerca dell’equilibrio tra salsa, grasso ed amido».
Fanno un brodo con gli scarti del pesce, cipolla, zenzero, prezzemolo, poco aglio, salvia e limone che fanno cuocere per 40 minuti. Lo filtrano, lo fanno freddare e lo sgrassano. Poi preparano la base acida con scalogno, Champagne e un po’ di aceto che fanno ridurre per poi filtrare. Con le gocce che ottengono condiscono una parte del fumetto che viene fatto ritirare in padella. Aggiungono quindi lievito arrosto e burro affumicato e tirano la salsa così da glassarla. Cuociono la pasta e la tolgono dall’acqua due minuti prima della completa cottura. La spadellano con la salsa ottenuta, la impiattano, e aggiungono lievito arrostito sbriciolato cotto in forno a 140 gradi ed emulsione di ricci ottenuta frullando i ricci con olio extravergine di oliva.
Uno tra i piatti che ha segnato la loro ascesa è lo Spaghetto freddo con ostriche e finocchio di mare. «Facciamo un’emulsione di ostriche, ovvero montiamo le ostriche al minipimer con olio di vinaccioli dal sapore neutro. Bolliamo la pasta. Nell’acqua della pasta sbollentiamo i finocchi di mare. Freddiamo la pasta in acqua e ghiaccio per qualche secondo e la mantechiamo a freddo nelle ostriche, girandola lentamente per circa due minuti. Per questa ricetta è necessario che la pasta abbia molto amido, così da consentire un’ottima mantecatura a freddo. Aggiungiamo poi il finocchio di mare, le ostriche a pezzi e qualche goccia di olio extravergine ligure e mantechiamo. Terminano il piatto con una grattata di scorza e succo di bergamotto.
2Dario Picchiotti del ristorante da Sacerno a Bologna
Per lo chef Dario Picchiotti del ristorante Da Sacerno a Bologna il rapporto con la pasta secca è viscerale. «È la mia ragion di vita e non potrei mai farne a meno. Di cacio e pepe posso essere capace di mangiarne anche mezzo chilo. Trovo che sia un’arte, bellissima da creare e da interpretare. Al ristorante utilizziamo quella di Benedetto Cavalieri, mentre a casa De Cecco e Molisana. Quella di Cavalieri è una pasta molto tecnica. Va saputa gestire e occorre molta sensibilità. Ultimamente vedo molti chef abbandonare la pasta secca per i tempi di cottura troppo lunghi. Questo vale però solo per lo spaghettone che sta prendendo sempre più campo. Penso però che il bravo cuoco sia capace di ottenere un qualche cosa di ancora più sorprendente con lo spaghettino che spesso nelle cucine, soprattutto gourmet, non è amato. Lo spaghettino scarica meno amido e regala, se saputo trattare nella giusta maniera, un gusto ed una consistenza unici. Quello di Cavalieri che utilizzo per le mie ricette ha un tempo di cottura di 7/8 minuti. Il mio modo di cucinarlo prevede 5 minuti in acqua bollente e il resto in padella». Guardando alla tradizione ci parla dei suoi Ditalini rigati ai frutti di mare. Solo per questi si serve da un pastificio di Canossa. Prepara un brodo di zuppa di pesce con concentrato di pomodoro. I frutti di mare, come cozze, vongole, calamari, pesce bianco, mazzancolle e gamberi rossi, li salta all’ultimo ed aggiunge poi burro di ostriche, fatto con un 80% di ostriche ed un 20% di burro emulsionato, che viene fatto ghiacciare per poi essere aggiunto a scaglie sul ditalino. «È questo il mio omaggio al tubetto con le cozze alla tarantina. Non sono un seguace delle paste risottate, anzi, trovo che rovinino il sapore della pasta ed è per questo che non pratico mai questo tipo di cottura».
Altra ricetta, questa volta di pasta lunga, è lo Spaghettino di Cavalieri sul Porto Canale. All’interno troviamo burro di ostriche, tre tipi di alghe di mare essiccate, anemoni di mare essiccati, salse di fegato e cuore di tonno, salse di fegato di merluzzo, bottarga fatta in casa, crema di uova di pesce, salsa di estratto di testa di gambero, polvere di cozze e vongole, salsa di acqua di mare ed alga spirulina, polvere di riccio e crema di riccio. «Cucino lo spaghettino per 6 minuti, lo scolo e lo aggiungo al brodo di pesce con cui lo manteco per un minuto. Aggiungo quindi burro di ostriche e tutto il resto, tra salse, alghe e pesce».
3Lorenzo Lai de Agli amici Dopolavoro a Venezia
Lo chef Lorenzo Lai dello stellato Agli amici Dopolavoro a Venezia, sull’Isola delle Rose, ci conduce dentro il suo concetto di pasta. «Negli ultimi anni ha subito tante trasformazioni. È stata idratata, trasformata in pastella, cotta in maniere diverse. Negli anni ha visto moltissimi utilizzi, anche fuori dagli schemi classici. Questa è l’epoca in cui si va avanti, ma bisogna sempre avere uno sguardo anche sul passato. Scelgo la pasta in base al suo condimento: lunga per un condimento più leggero, corta per un condimento con più “salsoso” e tendente al grasso». In questo momento è in carta uno spaghettone reso protagonista di un piatto vegetale con erbe di laguna come salicornia, finocchio, agretto e portulaca di mare e erba sale. Alcune vengono sbianchite, altre servite crude. Lo Spaghettone, dell’azienda Felicetti che Lai definisce “dal bel mordente”, viene cotto in acqua per 6 minuti. La cottura termina in padella per altri 4 minuti con salsa di burro e lentis, un fermentato molto simile alla salsa di soia, ma più dolce, a base di lenticchie. Quando lo spaghettone è quasi a fine cottura aggiungono un cucchiaio di aceto di riso per conferire al piatto la parte acida. Aggiungono poi buccia di limone fresca e completato con erbe cotte e crude, lenticchie soffiate e polvere di fiori finocchietto di mare. In sala viene completato con una salsa morbida a base di lenticchie. Altra ricetta particolarmente interessante vede l’utilizzo dei capelli di angelo di Benedetto Cavalieri cucinati in acqua bollente per un minuto e mezzo e poi stesi in un contenitore. Sopra viene versata una salsa a base di brodo di limone e colatura di alici con la quale vengono mantecati a freddo.
4Alessandro Gavagna che della Trattoria del Cacciatore di La Subida (Go)
Allo stellato Trattoria del Cacciatore di La Subida in provincia di Gorizia è lo chef Alessandro Gavagna a raccontarci la pasta secca. «Nella tradizione culinaria friulana la pasta secca è stata introdotta più tardi. Nelle nostre zone, infatti, che erano sotto l’impero austro ungarico, a tavola il quotidiano era composto da minestre, gnocchi e zuppe. La pasta secca è arrivata soltanto tra la prima e la seconda guerra mondiale e nella ristorazione tra gli anni 60 e 70. Per questo motivo, non avendo una lunga storia locale, prendiamo spunto dalla cucina italiana in generale». A seconda della stagionalità e di ciò che utilizza come accompagnamento, Gavagna decide di che pasta servirsi, se corta o lunga. In carta ci sono sempre due piatti a base di pasta secca. Entrando nello specifico delle ricette ci descrive le sue chitarrine. «Le abbino a del cuore di zucchino, finferli e aglio nero fermentato». Le chitarrine sono di un pastificio della Carnia, Soldati, che utilizza soltanto grano duro italiano. «Se tra le farine impiegate trovo anche il Senatore Cappelli sono più soddisfatto, in quanto a mio avviso la pasta composta anche da questa varietà regge meglio la cottura. Mi sono divertito anche a fare la pasta secca in casa, ma devo dire che ho trovato il tutto molto complicato e che ci sono troppi fattori che possono interferire sulla buona riuscita del prodotto, primo fra tutti l’umidità. E queste zone sono davvero molto umide».
Altro piatto a sua firma dove la pasta secca è la protagonista sono i paccheri di Benedetto Cavalieri farciti con ricotta di malga fresca e silene, un’erba primaverile dal gusto acidulo ed amarognolo che si raccoglie tra aprile e maggio. Sbollenta i paccheri in acqua salata. Fa quindi un fondo di cipolla con olio di oliva e silene battuta al coltello, spadella velocemente, aggiunge sale e pepe e poi ricotta fresca e formaggio Montasio stravecchio grattugiato. Farcisce i paccheri, li adagia in verticale su di una teglia e li gratina con una spolverata di Montasio stravecchio di un anno e mezzo. Termina il piatto con un pesto di silene e silene fritta a guarnire.
5Marco Stabile del ristorante Ora d’Aria a Firenze
«La pasta secca deve essere sempre di altissima qualità». A parlare è Marco Stabile del ristorante Ora d’Aria a Firenze. «La migliore pasta secca a mio avviso è quella dei micropastifici, che fanno ricerca e garantiscono sempre alti livelli». Da qualche tempo Marco Stabile ha iniziato una collaborazione con il pastificio Corte del Dome in provincia di Pistoia. «Dome è un pastificio piccolo quanto solido, che lavora da molto tempo. È particolare perchè usa l’acqua della fonte San Felice. Il connubio tra un’acqua purissima e grani provenienti soltanto dalla Maremma riesce a dare vita a prodotti a mio avviso unici». Insieme hanno creato paste ad hoc, come gli avvolti e stanno lavorando a una nuova trafila per fare la pasta con il logo di Dome. Oltre a questo sono stati messi a punto da Marco Stabile, in un laboratorio a Vico Pisano, dei sughi da abbinare alla pasta sotto il marchio Corte del Dome.
Stabile ci racconta due ricette. La prima sono gli Spaghetti di Corte del Dome, con un tempo di cottura di 7 minuti, con aglio, lavanda e caviale. «Facciamo una salsa scottando l’aglio di Sulmona per tre volte in acqua da fredda a bollente. Una volta fatto questo ne prendiamo la metà e l’arrostiamo lentamente con del burro fino a quando l’aglio imbiondisce. Uniamo quindi l’altra metà dell’aglio, aggiungiamo panna e cuociamo per 5 minuti. Aggiungiamo i fiori di lavanda e cuociamo per altri 5 minuti. Frulliamo il tutto, filtriamo e aggiustiamo di sale. Cuociamo gli spaghetti al dente e li condiamo con la salsa mantecando a freddo. Impiattiamo e terminiamo con aneto e un cucchiaio di caviale». I Maccheroni del Dome invece diventano protagonisti di una ricetta in cui la pasta viene condita durante l’ebollizione. Nell’acqua di cottura viene aggiunta la birra in modo che la pasta assorba il suo sapore. Per un litro di acqua una bottiglia di birra da 33 centilitri. Viene quindi creata una crema di pecorino toscano con latte di pecora, burro, farina di riso, pecorino toscano stagionato e sale a cui viene aggiunta una besciamella composta da latte, burro e farina di riso. Una volta scolati al dente, i maccheroni vengono fatti girare a fuoco spento nella crema. Il piatto viene terminato con lime grattugiato e briciole d’oro di Manetti Battiloro. ≈