
Il riso ha ormai conquistato i cuori degli chef, soprattutto se si parla di alta ristorazione. La varietà Carnaroli è quella più amata, per la sua capacità di mantenere bene la cottura per il suo chicco importante, e l'elevato contenuto di amido, che consente di ottenere la ben nota “onda”. Ma, ovviamente, molte altre vengono utilizzate nelle cucine italiane.
La versatilità del riso, insomma, è unica: accompagna perfettamente carne, pesce, vegetali e anche dolcezze. Anche i clienti lo apprezzano e, come affermato da molti chef intervistati, lo ordinano volentieri, preferendolo spesso anche alla pasta. In molti ristoranti si è aggiudicato il titolo di Signature dish, inserendosi tra le icone di tanti chef che hanno affinato con il tempo tecniche di cottura proprie, spesso simili, oppure assai differenti. C'è chi tosta a secco, chi con burro o olio, chi cuoce solo con acqua bollente, chi con brodo, chi lo gira poco, chi molto spesso. Ciò che accomuna sempre tutti è la ricerca di una cottura esemplare, capace di mantenere il chicco al dente, di creare una bella cremosità e di dare vita a un piatto goloso ed elegante.
1Vito Mollica
Vito Mollica è lo chef di Palazzo Portinari Salviati a Firenze dove convivono sotto lo stesso tetto lo stellato Atto di Vito Mollica e Salotto Portinari. «Noi italiani siamo fortunati perché pur essendo dei piccoli consumatori di riso lo abbiamo trasformato da contorno a portata principale. Sono di origini lucane, ma per me il risotto è un must. Ho lavorato e vissuto molto all’estero e nelle cucine il risotto era tra le ricette più ambite. Sono affezionato a diversi risi: il Vialone nano mi piace abbinarlo alle verdure perché ha un chicco più piccolo mentre per i risotti classici prediligo il Carnaroli. Sono anni che lavoro con gli stessi produttori e difficilmente riesco a cambiare, perché mi affeziono e mi piace il legame che si crea. Da moltissimo tempo utilizzo Riserva San Massimo che trovo sia eccezionale». Il risotto, sia al Salotto Portinari sia ad Atto, va molto ed è presente tutto l’anno. Mollica ci racconta due ricette, quella del risotto allo zafferano con ossobuco, ricordo degli anni trascorsi a Milano, che propone al Salotto, e quello con melagrana e capriolo, che è possibile gustare ad Atto.
«Per il risotto non uso mai il brodo in quanto la sua evoluzione in cottura non mi convince. Per il risotto allo zafferano parto con il far imbiondire la cipolla in burro e olio. Aggiungo quindi i pistilli di zafferano, tosto il riso, bagno con il vino bianco e porto a cottura. Una volta bagnato con il liquido, lo zafferano tostato emana tutti i profumi e l’essenza che lo rendono unico. Non utilizzo il brodo proprio perché coprirebbe i suoi profumi e il suo sapore. Quando il riso è cotto spengo il fuoco e aspetto che si assesti. Manteco quindi con un 20% di burro francese perché più ricco. Sciolto il burro aggiungo un filo di olio extravergine e un 20% di Parmigiano Reggiano che integro poco a poco. L’ossobuco viene cucinato in umido alla maniera tradizionale milanese, rosolato con burro ed olio. Viene quindi parato e tagliato a cubetti. Il sugo viene filtrato e ridotto. Il midollo crudo viene tolto, rimosso, setacciato e condito con sale e limone. Viene quindi realizzato un rollè che una volta freddato in frigo tagliamo a medaglione. Si posiziona nel piatto il risotto, ragù intorno e midollo al centro. Termino il piatto con vino ed aceto ridotto con scalogno, per regalare alla ricetta una punta di acidità».
L’altro piatto è il risotto alla melagrana con carpaccio di Capriolo dedicato a Beatrice di Dante. Una centrifuga di melagrana viene fatta bollire così da per fermare un eventuale fermentazione. Il riso viene cotto come per il risotto allo zafferano, ma invece dei pistilli si utilizza pepe nero pestato. A metà cottura il riso viene bagnato con la centrifuga della melagrana, portato a cottura e mantecato con burro, olio e parmigiano. Il carpaccio di capriolo viene tagliato e adagiato nel piatto. Con le carcasse si ottiene un concentrato tipo salmì che viene adagiato sul carpaccio. Il risotto, caldo, viene servito in sala affianco al carpaccio tiepido.
2Maurizio Bufi
Ci parla delle sue proposte anche Maurizio Bufi del ristorante Il Fagiano del Grand Hotel Fasano a Gardone Riviera, sul lago di Garda. Pugliese di origini, ci racconta il suo modo di vivere e di interpretare il risotto. «Il riso fa parte della cultura italiana e della cucina mediterranea. Reputo la varietà Carnaroli, dal chicco più grosso e con una buona parte amida, la più adatta per ottenere risultati eccellenti. Utilizzo una riserva dell’azienda Zaccaria. Un riso a mio avviso di gran gusto e che tiene bene la cottura soprattutto nella parte interna del chicco. Ha sicuramente meno amido, ma cerchiamo di estrarre questa componente attraverso la tecnica di cottura. Parto da una base senza cipolla, che è già nel brodo, molto leggero, vegetale, con acqua e una quantità ridotta di sedano, carote e cipolla perché preferisco esaltare il gusto del riso. Lo faccio bollire solo per 10 minuti. La tostatura del riso avviene a secco e aggiungo poi olio e brodo. La tostatura a secco permette di estrarre l’amido e mantenere il chicco ben sodo. Non sfumo con il vino perché a mio avviso altera il gusto del riso».
Tra i suoi piatti signature c’è il Risotto liquirizia, limone e burrata (nella foto). I limoni, che provengono dalla loro limonaia, vengono cotti interi in acqua, zucchero e vaniglia per 4 ore a 60 gradi. Con un pelapatate viene tolta la buccia per essere poi tritata finemente al coltello. La polpa, che ha perso un buon 50% di acidità, viene estratta con un cucchiaio. La buccia viene tostata con il riso mentre agli ultimi 4 minuti di cottura vengono aggiunti due cucchiai di polpa di limone. La mantecatura viene fatta con olio, burro e Parmigiano Reggiano. Il riso riposa un minuto coperto, così che il chicco possa prendere forma, tirando anche fuori l’ultimo amido. Una volta impiattato viene aggiunta la polvere di liquirizia e ciuffi di burrata.
L’altra ricetta vede l’abbinamento con il pesce. Si tratta del risotto zucca e canocchie. Il procedimento di tostatura è lo stesso, mentre cambia il brodo, questa volta non di verdure, ma fatto con la buccia della zucca. La zucca, con tutta la buccia, viene cotta in forno per essere caramellizzata. La polpa della zucca viene inserita in cottura e viene utilizzata per ottenere una brunoise leggermente spadellata che viene inserita alla fine sopra il risotto con le canocchie, cotte al vapore, e marinate con lemongrass e olio.
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Anche per Nino Ferreri del ristorante Limu a Palermo la varietà Carnaroli è quella più performante, dal chicco corposo e dall’alto quantitativo di amido.
«Abbiamo due risotti in carta ormai da diversi anni: uno primaverile estivo, ed uno autunnale invernale. Quello estivo ha come ingrediente principale il pomodoro. Il riso viene cotto in acqua di pomodoro ottenuta da pomodori macerati con sale e basilico e poi pressati. Questo brodo mi regala l’acidità che ricerco in ogni mia ricetta che deve essere golosa, ma anche di bella freschezza. Il riso, Acquarello, lo tosto a secco, senza soffritto. Lo sfumo con il vino e poi aggiungo acqua di pomodoro a 50 gradi. Alterno quindi acqua bollente e acqua di pomodoro così da mantenere la temperatura elevata e costante. Lo manteco con burro e parmigiano e lo impiatto dinanzi ai clienti per impedire la cottura dei crostacei. Termino il con una insalata di scampi alla Eoliana con olive, foglie di sedano e basilico».
Quello autunno inverno vede invece protagoniste le cicale di mare. Le cicale vengono abbattute e spolpate. Con il carapace viene prodotto un brodo leggero con cui sfumare e cuocere il riso che viene mantecato con burro acido al limone (composto da burro francese e succo e scorza di limone), Parmigiano Reggiano e olio evo. A differenza del piatto estivo le cicale vengono poste sopra il risotto caldo per fare in modo che lievemente si cucinino. Il piatto viene ultimato con una salsa alla bottarga. A Limu il risotto viene girato poche volte. E, una volta cotto, è basilare il tempo di riposo: uno o due minuti prima della mantecatura, e un minuto dopo.
4Luca Ludovici
Luca Ludovici del ristorante Contatto a Frascati sta facendo un importante lavoro di ricerca sul riso che lo ha portato nell’ultimo anno a offrire alla clientela un risotto molto particolare, ottenuto dal riso affinato nella grotta che si trova sotto il suo locale. «Gualtiero Marchesi e Massimiliano Alajmo mi hanno trasmesso la passione per il risotto e da loro ho appreso diverse tecniche di cottura. Il mio riso ha come particolarità quella di essere affinato in grotta, così come altri prodotti. L’idea mi è venuta grazie al tartufo: lo avevo conservato nel riso che aveva preso il profumo e il sapore del tartufo. Insieme a mia moglie ci siamo allora chiesti che cosa sarebbe successo se lo avessimo portato in grotta, visto che ha la sorprendente capacità di assorbire profumi e sapori grazie alla porosità che lo caratterizza. Mi servo del Riso Buono, Carnaroli, di Cristina Brizzolari che tengo dentro un’anfora di terracotta capace di affievolire gli effetti della forte umidità presente nella grotta. L’anfora viene chiusa con delle garze. Ogni due giorni lo giriamo da mescolarlo. Invecchiamo il riso da un minimo di due mesi a un massimo di tre; alla fine il riso risulta umido ed è come se si precuocesse a freddo. Reidratandosi diventa molto più fragile e necessita di una tostatura a secco veloce, con pentola molto calda e con sale fino, che serve a tenere separati i chicchi. Il riso avrebbe una cottura di 18 minuti mentre io lo cuocio solo per 11 minuti. Il riso che ottengo con l’affinamento in grotta ha un quantitativo di amido inferiore. Con la cottura il chicco all’esterno risulta un po’ più morbido, ma il nucleo rimane più croccante. Inoltre ha un sentore nocciolato, un retrogusto quasi di integrale, ed un morso molto particolare, come se possedesse una doppia consistenza». Ludovici ci parla del suo riso alle erbe locali, purè di limone e brodo di Parmigiano. Utilizza l’acqua di Fiuggi, povera di sali minerali e calcio, per fare un brodo con croste e tranci di Parmigiano che viene cotto per tre ore e poi lo fa decantato così da ottenere un’acqua di Parmigiano limpida. In mantecatura viene aggiunto il purè di limone (ottenuto facendo sbollentare per 10 volte il limone, partendo da acqua fredda, e poi frullato e setacciato). Il piatto viene finito con un trito di erbe mediterranee. Altra ricetta è il Riso che sapeva di camino spento, mantecato con burro e pecorino stagionato per due anni e poi messo in grotta per tre mesi, sosta che gli conferisce il sentore erborinato. Alla fine anche delle losanghine di aringa affumicata.
5Alberto Basso
Alberto Basso, chef patron del Ristorante Trequarti in località Val Liona in provincia di Vicenza e presidente JRE-Italia, ci racconta di un rapporto iniziale conflittuale con il riso. «Da piccolo ero costretto a mangiarlo spesso, quasi sempre, ed è per questo che per anni non ho più voluto vederlo, né tantomeno cucinarlo. Ora invece mi diverto a preparalo: è duttile e si presta a tante preparazioni. Utilizzo solo Carnaroli per le preparazioni salate e Vialone nano per quelle dolci. In Veneto è famoso il riso e latte. Era il pasto della guerra e per questo motivo porta con sé il ricordo di periodi bui. Ho voluto provare a farlo apprezzare anche alle persone che lo associavano alla povertà e credo di esserci riuscito, visto che in tanti adesso lo apprezzano. Lo faccio come da tradizione, ma aggiungo un tocco in più. Cucino il Vialone nano dell'azienda De Tacchi nel latte e lo servo freddo con gelato al fiordilatte addolcito con miele di acacia e caramello salato. Aggiungo poi il caviale croccante dell'azienda Cru Caviar che dona sapidità e croccantezza». Come ricetta salata, in cui utilizza il Carnaroli di tenuta Margherita, ecco invece quello alla barbabietola cotta in forno nella stagnola a 150 gradi per 20/25 minuti e poi frulla insieme alla buccia. La crema ottenuta viene aggiunta al risotto alla fine. Il riso viene tostato a secco, sfumato con vino bianco e lavorato solo con acqua e mantecato con burro e olio evo e Grana Padano. Alla fine viene aggiunta la salsa di rafano, ottenuta dal rafano sotto aceto frullato con panna in dosi 1 a 2.