Il pesce di lago e di fiume, un ingrediente un po’ dimenticato, sta vivendo una vera riscoperta da parte di numerosi chef.
Il pesce di acqua dolce non è il parente povero di quello di mare. Certo, forse presenta qualche sfida in più per chi lo deve cucinare, ma può dare molte soddisfazioni agli chef che decidono di valorizzare le materie prime offerte dal proprio territorio. Questo sembra essere il leitmotiv dell’esperienza dei cuochi che abbiamo interpellato sul tema.
Cinque cuochi ci raccontano le varietà più usate, le ricette e le tecniche di cottura più adatte ai pesci di acqua dolce.
Trote e salmerini i preferiti di Brunel
«Sono affezionato da sempre soprattutto a trote e salmerini, di cui uso tutto», dice lo chef trentino Peter Brunel, dalla scorsa estate titolare del ristorante gourmet che porta il suo nome ad Arco di Trento. Qui, Brunel continua la sua ricerca, ma propone anche un piatto che da vent’anni, dice, tiene in carta ed è diventato un classico della sua cucina: la Trota marinata affinata al miele, servita in cera d’api: la trota, prima messa in salamoia, viene poi laccata con miele e ricoperta con cera d’api sciolta e colata, poi abbattuta per solidificare la cera, che opera una sorta di sottovuoto naturale. Spiega Brunel: «Il miele agisce lentamente sulla disidratazione del pesce, estraendo l’acqua dalla trota». Acqua che però non può uscire dallo scrigno di cera d’api e mantiene idratate le carni del pesce. Il risultato, dice lo chef: «È una texture morbidissima, con un leggero gusto di miele». Un piatto più recente, in carta dallo scorso anno è invece la Caesar’s salad di lago, con sarde di lago marinate e affumicate al posto del pollo e «Rivisitato in tutti i suoi altri elementi», racconta Brunel. Il quale utilizza il pesce di lago in maniera creativa anche in un dessert, in cui le uova di trota, marinate in un centrifugato di ananas e foglie di salvia, vengono incorporate in una spuma di mango e sono usate «Come un elemento alternativo a frutta secca o sale di Maldon», conclude lo chef trentino.
Luppi e i pesci di fondale
Leandro Luppi, chef patron del ristorante Vecchia Malcesine (Vr), nel borgo omonimo sul lago di Garda, da sempre incentra la sua cucina sull’esaltazione delle eccellenze gardesane e da qualche anno è tra i promotori della manifestazione Fish & Chef. Del lago, Luppi usa tutto ciò che viene pescato a seconda della stagione e della reperibilità, sottolineando che la pesca nel Garda è gestita abbastanza bene dalle tre Regioni che vi si affacciano. «Di pesce ce n’è - dice -, anche se la pesca è naturalmente soggetta a ciclicità. Però, usare pesce di lago non è come andare al mercato ittico, non sei tu che decidi che cosa mettere in carta. È il pescatore che ti chiama la mattina e ti dice quel che ha preso quel giorno». In un’ottica di differenziazione sostenibile, da qualche tempo Luppi si sta dedicando soprattutto ai pesci di fondale, come tinche, carpe e pesci gatto. «Sono più poveri e meno apprezzati rispetto a lavarelli o pesci persici perché hanno sapore di fango - racconta -, ma con una cottura adeguata questo sentore sparisce e si ottengono ottimi risultati». Per esempio, Luppi trova efficace l’oliocottura: «Non è una cottura grassa, l’olio non viene assorbito nelle carni, che perdono completamente il sapore fangoso. Inoltre, se si utilizza olio buono, le carni ne prendono i buoni profumi». Così il pesce gatto, tradizionalmente, nella pianura veneta viene fritto, Luppi invece lo cuoce in oliocottura, lo finisce con una glassa di miele, soia e acqua di kiwi e lo serve con kiwi: «il contrasto tra la dolcezza del pesce e l’acidità del frutto è molto apprezzato», dice.
Beretta: a ogni pesce la sua cottura
Un forte legame con il territorio connota anche la cucina di Federico Beretta, chef del Feel di Como. Un ecosistema che comprende non solo il Lario, ma anche le montagne che lo abbracciano e tutto il sistema dei laghi prealpini. «Sul lago di Como sono rimasti pochi pescatori operativi e per approvvigionarmi devo guardare anche a Iseo e Garda - spiega lo chef, che in carta non ha alcun piatto a base di pesce di mare -. Usiamo quasi tutti i pesci d’acqua dolce disponibili in base alla stagionalità, alla reperibilità e ai diversi fermi pesca, oltre a trote d’allevamento». Quindi, luccio perca, carpe, lavarelli, agoni, ma anche temoli dai laghi alpini del Trentino, gamberi di fiume dal bacino dell’Iseo, anguille. A ogni pesce corrisponde una tecnica di cottura diversa. Per esempio, lavarello, temolo e trota, che hanno carni delicate, danno il meglio con una cottura leggera e accompagnati da salse. Come per esempio il luccio perca cotto in padella in burro ed erbe di montagna, servito con una crema di sedano rapa, che non sovrasta il sapore delicato del pesce. Pesci più grassi e saporiti, come l’anguilla, possono essere stufati o cotti più a lungo. Nel risotto con coregone mantecato con corniole e caviale di storione italiano, il coregone è affumicato, mentre il piatto è finito con aria di pino mugo, che cresce in montagna: «Ci piace arricchire i piatti a base di pesce di lago con bacche ed erbe che troviamo in alta quota», spiega lo chef.
Garum e sottaceto, le tecniche di Caranchini
«Non ci poniamo limiti nel cercare di dare al pesce di acqua dolce una nuova dimensione, uscendo dai canoni classici», afferma Davide Caranchini, chef del ristorante Materia di Cernobbio, sul lago di Como. «Usiamo tecniche mai applicate prima al pesce di lago o che arrivano da altri Paesi, per esempio dal Giappone». Un esempio è il suo garum, ispirato all’antica salsa romana, in cui Caranchini utilizza gli agoni del lago di Como al posto del pesce azzurro. «L’agone è il pesce d’acqua dolce più simile alle sardine per caratteristiche e contenuto di Omega 3 - racconta -. Viene pescato in piccole quantità per due mesi l’anno. La scorsa estate siamo riusciti a comprarne 10 kg e li abbiamo usati per il garum». Gli agoni con tutte le interiora vengono tagliati a pezzetti, mescolati con una certa percentuale di sale e koji e lasciati fermentare dai 4 ai 6 mesi. La poltiglia che ne risulta viene poi filtrata e pastorizzata. Inizialmente, questa colatura di pesce veniva usata come condimento per altri piatti, ora invece è diventata un ingrediente protagonista come nelle linguine al burro, cui il garum viene aggiunto in fase di mantecatura, dando un sapore molto intenso al piatto, che viene ulteriormente finito con polvere di amchoor (mango acerbo essiccato), che dà acidità e sgrassa la pasta. «Altra preparazione è il pesce sottaceto, ispirato - dice Caranchini - a quella tradizionale del pesce in carpione, con la differenza che il pesce di lago non viene fritto ma, a crudo, è trattato con sale e messo sotto aceto. Così, spiega lo chef: «Sviluppa un profilo gustativo più fresco, ha una struttura più densa e una bella masticazione e ha una conservazione lunghissima». Al Materia viene servito accompagnato da salsa di rafano e aneto e guarnito con uova di luccio.
Pellegrini: il 60% del menu con pesce di lago
«Il pesce di lago è il nostro punto di forza, rappresenta il 60% dei piatti in menu - racconta Andrea Pellegrini, de Il Molo di Passignano sul Trasimeno (Pg) -. La clientela che arriva da fuori regione viene per questo e, in misura minore per la cacciagione. Abbiamo anche qualche piatto di pesce di mare, per accontentare la clientela locale». La materia prima è pescata in gran parte nel Trasimeno, che fornisce carpe regine, lucci, anguille, capitoni, tinche, persico reale e persico trota. Dal Nord Italia arrivano salmerini, coregoni e lavarelli. Quanto alle ricette, alcune si ispirano alla tradizione, rivisitata in chiave contemporanea, altre sono inventate da zero, includendo anche ingredienti e tecniche che non sono locali. Il territorio, però, è sempre il punto di riferimento, sottolinea Pellegrini. Come nella Carpa regina del Trasimeno in porchetta, una specialità del luogo che tradizionalmente viene preparata con grasso di maiale, quest’ultimo assente nella versione del Molo: «La carpa è già grassa di suo, noi la mariniamo solo con spezie e aromi, poi la passiamo al forno e la accompagnamo con chutney, cipolle di Cannara e popcorn di pelle di maiale, a ricordare la tradizione», spiega Pellegrini. Un altro esempio sono i Bottoni in brodo orientale e anguilla: i ravioli, ripieni di manzo, sono accompagnati da pezzetti di anguilla sgrassata e leggermente affumicata, servita con un brodo dashi con alghe e spezie: «Questo piatto rappresenta il baratto che un tempo facevano fra contadini e pescatori, mentre le spezie fanno cenno con i loro profumi a quelle coltivate in una serra su un’isola del lago».
Dallo studio di Sacco la scoperta del gardon
«La cucina di lago mi caratterizza da sempre - afferma Marco Sacco, chef patron del ristorante Piccolo Lago di Mergozzo (Vb) -. Mi trovo in un territorio lacustre e questo devo portare nel piatto, raccontandolo al turista che sceglie di venire qui per vivere un’esperienza culturale della vita del lago. Dare valori legati al proprio territorio non è sempre facile. Per esempio, il pesce di lago in teoria costa meno di quello di mare, però ha tanto scarto e richiede lavorazioni più complesse. Il prodotto del territorio che abbiamo non deve però essere un limite, ma una risorsa. La tecnologia oggi ci avvantaggia e ci permette di ragionare su quale tecnica di cottura sia la migliore per ciascuna tipologia di pesce». Prendiamo il lavarello, che ha una carne morbida che però è una delle più difficili da lavorare: «Oggi non ci limitiamo più a cucinarlo in burro e salvia, come nel passato», dice Sacco, che ha deciso di valorizzare il pesce d’acqua dolce sia facendosi promotore dell’associazione Gente di Lago e di Fiume, sia studiando insieme a ittiologi le diverse specie presenti nelle acque locali. Uno studio che, per esempio, lo ha portato a scoprire, accanto agli autoctoni lavarelli, alborelle e pesce gatto, il gardon. Quest’ultimo, racconta, è una specie invasiva probabilmente introdotta nell’ecosistema locale attraverso gli impianti di pesca sportiva. Oggi ha soppiantato alcune specie autoctone ed è molto abbondante. «Perciò, ho cercato di capire come usarlo, anche se è molto spinoso», racconta Sacco, che per esempio lo utilizza per le sue polpettine. Impanate in polvere di riso Artemide e fritte, vengono accompagnate da un brodo in stile Thai preparato con gli scarti del gardon e spezie fresche piccanti: «Frutto dell’incontro di due tecniche e due filosofie, sono un simbolo della mia cucina», conclude Sacco.