#iononcisto. Non ci sto a immaginarmi una normalità fatta di barriere e mascherine. Non ci sto a dialogare con un ologramma anziché con il solito cameriere o a farmi servire da robot. Non ci sto a sentirmi la sola particella di sodio in una grande sala. Vero è che il senso civico e il rispetto per la sofferenza patita da coloro hanno perso amici, genitori, nonni, obbliga tutti al rispetto delle norme per il contenimento del contagio. Regole che, tuttavia, tardano ad arrivare (come del resto gli aiuti) o, sono ancora confuse, e che mortificano il concetto stesso di convivialità, oltre che il business e il lavoro (con le misure per il lockdown, 1,1 milioni di lavoratori sono stati sospesi e solo 108.000 sono rimasti attivi). Ma non possiamo farci sopraffare dalla rabbia.
Non possiamo rassegnarci all’idea che questa sia la nuova normalità. Semmai, prendere ciò che di buono possiamo. Approfittare per rivedere i menu e i processi produttivi in termini di efficienza, di riduzione degli sprechi, di igiene e sicurezza, al di là della straordinarietà del momento. Studiare layout a misura d’uomo e ambiente (nel numero di Ristoranti non mancano gli esempi).
Concepire format che tengano conto delle abitudini emerse, dalla consegna a domicilio all’asporto, senza attribuire a nessuna di queste un potere salvifico e, soprattutto, investendoci tempo e risorse, come gli imprenditori di cui abbiamo raccolto le testimonianze.
Perché non possiamo smettere di immaginarci un futuro migliore e perché i clienti ci aspettano.