Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice sono gli chef che hanno conquistato Roma. Dimenticate il cuoco cavernicolo, che non esce mai dalla cucina bollente e fumosa: questi ragazzi, cresciuti sotto l’ala del bistellato Anthony Genovese, hanno scelto di vedere il mondo che passa attraverso il loro ristorante. E non solo con una cucina a vista in stile acquario, ma con una cucina-bancone, come quello dei “bottegai” di una volta, come amano definirsi: dialogano con i clienti, spiegano loro i piatti e li guidano nella scelta. E guardano le loro reazioni all’assaggio, indirizzando la cucina in base alla soddisfazione percepita dai volti dei commensali e, perché no?, raccontata dai clienti stessi.
E tali attenzioni evidentemente funzionano. Aperto a dicembre 2015, in pochi mesi Retrobottega è diventato un indirizzo imperdibile per romani e turisti. Anche a costo di lunghe file o di mangiare a orari impensabili. Perché da Retrobottega il servizio è a orario continuato da mezzogiorno a mezzanotte e si prenotano solo gli otto posti del tavolo sociale, vincolati però al menu degustazione.
Soprattutto nel weekend si preparano pasti senza soluzione di continuità; durante la settimana, invece, gli orari e le turnazioni sono più scandite. I posti a sedere sono 34, compreso il bancone e il tavolo sociale da 8 persone, ma presto dovrebbero salire a 40, grazie a un imminente accorpamento di un locale adiacente di circa 30 metri quadrati, che tuttavia dovrebbe garantire più che altro una distribuzione più comoda dei tavoli.
Una quarantina i coperti serviti a pranzo e 2-3 cambi a cena. Molti i turisti stranieri, grazie anche alla collocazione a due passi dal Pantheon e ad altri richiami storici della capitale, che scelgono la fascia oraria dalle 19 in poi, mentre gli italiani si attardano più volentieri. La turnazione rapida è aiutata dai molti accorgimenti volti alla semplificazione del servizio. Per esempio, sono gli stessi cuochi che escono dalla cucina e portano i piatti ai commensali o ancor meglio li passano direttamente al bancone come un drink in un cocktail bar, per chi ha scelto la seduta “con vista”.
Poi c’è il cassettino posto sotto il tavolo o il bancone fatto realizzare su misura, dove c’è tutto il necessario per il coperto: ci si apparecchia da soli estraendo dal cassetto posate, bicchieri e tovaglietta. Non che questo significhi che non ci sia il servizio in sala. Valerio D’Angelo affianca (e al momento sostituisce vista la maternità) la valente Carola Calò. Compagna di Miocchi, maître e sommelier, che tiene tutto sotto controllo e si occupa degli abbinamenti vino e birra. In cantina, 160 etichette, di cui 14 Champagne, ma comunque su fasce di prezzo contenute, e una selezione di birre artigianali non scontate.
Complessivamente, stima Miocchi, il cliente in un’oretta/un’oretta e mezza è fuori, anche nel caso del menu degustazione. Le proposte guidate sono due, a 58 euro per sei portate e 78 euro per otto portate. Decise dagli chef, a sorpresa, e uguali per il tavolo, salvo poi accontentare richieste specifiche e gestire allergie e intolleranze: anche in questo senso, il contatto con il cliente aiuta molto.
La velocizzazione del servizio passa anche per un’accurata preparazione delle materie prime e per un uso attento delle tecnologie. Sono molti i piatti che vengono pre-lavorati e terminati durante il servizio, con finitura e impiattamento. In questo aiuta molto il sottovuoto, come grande soddisfazione Miocchi afferma di ottenerla dall’uso del Big Green Egg (il barbecue “da tavolo”, rigorosamente a legna), con cui si possono anticipare molte lavorazioni e col quale si ottiene l’effetto grigliato anche in un ambiente chiuso. Altra chicca è la macchina per la pasta La Monferrina, una specie di “Ferrari” delle sfogline che consente di preparare in breve tempo grandi quantitativi di pasta fresca, la cui breve cottura semplifica poi il servizio, velocizzandolo.
In tutto, nel menu che cambia mensilmente (ma può variare in alcune portate anche ogni giorno), troviamo venti piatti, suddivisi equamente per ogni portata, con uno schema 5-5-5-5. Un risotto, una pasta secca, a volte una zuppa e per il resto solo pasta fresca tra i primi. E poi due portate di carne, due di pesce e una proposta vegetariana per il reparto salato. Per quanto riguarda il dessert, viene sempre servito al piatto e preparato espresso e Miocchi lo definisce «un dolce da cuoco, con materie poco classiche, abbinamenti arditi e l’introduzione di elementi salati».