Conquista il cliente con un fritto

Una tra le poche cose che non passa mai di moda è il fritto. La portata golosa per eccellenza che, se fatta con criterio e accortezza, può anche risultare digeribile. Che sia di carne, di pesce o di verdure, in olio di arachidi, di girasole o in un olio messo a punto insieme all’Università, il mezzo migliore per ottenere una frittura perfetta è la friggitrice che consente di avere sempre una temperatura controllata capace di garantire non soltanto croccantezza, ma anche leggerezza e quindi maggiore salubrità. Dal nord al sud del Bel Paese, in ristoranti di ogni genere, dallo stellato alla trattoria, la frittura consente di proporre piatti che spesso parlano di storia e di tradizione; punti saldi della cucina che la clientela apprezza sempre.

Fritto, un piatto goloso

Chi del fritto ha fatto il suo cavallo di battaglia, portandolo in tutto il mondo, è Pasquale Torrente, la cui storia inizia molto tempo fa al ristorante di famiglia Al Convento di Cetara. «Il fritto è una tra le cose più golose al mondo. Negli ultimi anni è stata anche sdoganata l’idea di esso quale acerrimo nemico della nostra salute. Se fatto bene, con un buon olio, con attenzione e un’ottima materia prima può essere anche un toccasana per il nostro fegato, come molti nutrizionisti affermano».

Torrente usa un olio nato dalla collaborazione tra un oleificio italiano e un’Università.

Piatto icona di Pasquale Torrente è l’Alice ripiena di provola affumicata. Come ci spiega Pasquale è un piatto di recupero che viene fatto con una provola ben asciutta che, contenendo meno acqua rispetto a un prodotto più fresco, risulta perfetta come ripieno delle alici che prima vengono aperte a libro, sfilettate, infarinate, rinchiuse con all’interno la provola, passate nell’uovo e poi nel pan grattato o nel pane panko e infine fritte. Ultimo dettaglio: la farina utilizzata è quella di semola rimacinata dell’azienda Caputo.

Altro classico tra i più apprezzati dalla clientela del ristorante di Torrente sono i calamaretti spillo fritti. Vengono serviti con una maionese fatta in casa con limoni della Costiera Amalfitana che garantiscono un profumo e un gusto esplosivi.

Le tradizioni del Sud America

Anche lo chef peruviano Alexander Robles del ristorante Azotea a Torino attraverso la frittura propone piatti che guardano alle sue origini. In menu incontriamo due tapas che parlano del Sud America, estremamente golose per la vista e per il palato. Quella con il baccalà è fatta con un impasto a cui viene aggiunta la radice sudamericana manioca. Il baccalà viene cotto al vapore insieme alla manioca. Si ottengono poi dei bocconcini che vengono impanati con panko e cocco grattugiato, fritti in olio di girasole e serviti con maionese al chipotle, un peperoncino affumicato anch’esso proveniente dal Sud America. «Prendo spunto dalle ricette dello street food del mio Paese e le rivisito. Anche in Perù la frittura è una cottura molto utilizzata e nel mio ristorante mi piace riproporla. Per ottenere una frittura leggera, non unta, che proprio per questo piace alla mia clientela, utilizzo il panko capace di assorbire meno olio. L’olio che ho scelto è quello di girasole che mi consente anche di poter lavorare serenamente in caso di allergie o intolleranze da parte dei mie clienti. Mi servo inoltre di una friggitrice e di una macchina per il filtraggio grazie alla quale riusciamo ad avere sempre un ottimo olio, che è alla base di tutto». L’altra tapas che ci racconta Robles è il Katsusando, un panino fatto con pan brioche tostato e farcito con lingua di vitella impanata nel panko e poi fritta, e maionese di menta andina huacatay. «Non friggo solo con olio - dice lo chef -. Guardando alla mie radici ho messo in carta un piatto che omaggia il chicharron, ovvero una pancia di maiale cucinata sottovuoto e poi fritta nello strutto di maiale».

E c'è anche la frutta

Anche la frutta diventa ingrediente principale della frittura: «Utilizzo il platano maduro che prima cuocio al vapore, poi taglio a rondelle per dargli la forma di un fiore e dopo friggo senza panatura né altro. Lo servo con un pesto di coriandolo e di arachidi insieme a quinoa fatta con barbabietola, quinoa con curcuma e quinoa con carbone vegetale e con scorza nera».

Al ristorante Gardenia a Caluso il fritto parla naturalmente piemontese. A raccontarcelo è la chef e titolare Mariangela Susigan che ha ereditato la ricetta dai suoi genitori. «Il fritto alla piemontese ha tanti ingredienti in più per tradizione, ma nel corso degli anni, dovendo assecondare i gusti dei clienti che sono in  cambiamento, abbiamo stabilito delle tipologie di carne che mettono un po’ tutti d’accordo. A mio malincuore abbiamo dovuto togliere lo zampetto di maiale, poco amato, e anche il fegato. Quest’ultimo però può essere chiesto su ordinazione».

Nel suo fritto la parte dolce è costituita da mela, amaretto, semolino e una frutta di stagione che in inverno è generalmente la pera Martin cotta nel vin brulè, mentre in estate la pesca. Poi si trovano le foglie di borragine, di salvia e fiori di zucchina, alternati secondo disponibilità, e le verdure come le zucchine, le melanzane, i cavolfiori, i finocchi, i carciofi e a volte anche il broccolo romanesco, il tutto seguendo rigorosamente la stagionalità. La parte di carne è composta da una costoletta di agnello, una bistecchina di vitello, la salsiccia, il cervello e il filone di vitello, ossia il midollo. A richiesta, appunto, anche il fegato. La parte dolce e anche le foglie si fanno forti della ricetta della mamma di Mariangela che vede per 250 grammi di farina, 240 di latte, 2 uova, un cucchiaio di grappa, mezzo cucchiaio di zucchero, un pizzico di sale e 1/4 di bustina di lievito, il tutto frullato al mixer. Le verdure, il semolino dolce cotto nel latte con buccia di limone e Maraschino e la carne vengono passate in semola di grano duro rimacinata, uovo e pangrattato. «Per realizzare un ottimo fritto piemontese - dice Mariangela Susigan - ci vuole tanta cura quotidiana e pazienza, soprattutto per la gestione dell’olio. Ogni mattina lo cambiamo. Al ristorante ci serviamo di olio di semi di arachide, a mio avviso più performante, mentre per i grandi eventi, come quando proponiamo il cibo di strada nei giardini storici, utilizziamo quello di girasole. In questo caso il fritto piemontese diventa vegetale, con una ricca selezione di ortaggi, foglie e verdure e l’immancabile semolino. Il fritto piemontese nel nostro locale è un piatto unico, ma è un piacere vedere le precedenti generazioni mangiare un pasto completo, dall’antipasto fino al dolce e finire ogni cosa che è nel piatto. Un gusto e una passione per il cibo ormai di altri tempi che è meravigliosa da ammirare».

Un classico dal mare

A La Zanzara a Codigoro la frittura di pesce è un piatto storico che Sauro Bison, chef e patron, prepara come facevano i suoi genitori già nel 1982, anno di inaugurazione del ristorante di famiglia.

«La frittura mista di pesce dell’Alto Adriatico è un piatto storico. Il fritto di pesce che facciamo oggi è molto simile a quello che preparavano i miei genitori negli anni Ottanta, quando diedero il via alla loro carriera da ristoratori. Il pesce viene prima mondato e sezionato, poi infarinato con farina di grano tenero e infine immerso in olio di semi bollente. Ciò che determina una perfetta cottura è il rapporto tra quantità di olio e quantità di pesce che incide anche sulla stabilità della temperatura dell’olio che non deve mai scendere sotto i 180 gradi. Le proporzioni sono le stesse che si seguono per la cottura della pasta: per 100 grammi di prodotto un litro di olio». Utilizzano una friggitrice con il controllo della temperatura che consente di poter friggere in modo corretto anche grandi quantità. Bison ci racconta anche della sua alice o acciuga impanata. «Prima la puliamo e la priviamo delle lische e dopo la impaniamo con l’albume leggermente sbattuto - racconta Bison -. Segue una panatura fatto con il panko».

Per la frittura mista dell’Alto Adriatico, che vede l’utilizzo di pesci pescati al retino, si servono di ciò che il loro mare offre ovvero zanchette, moli, gamberetti di laguna, calamaretti e il giotolo, dall’aspetto simile a un microscopico polpo, grande come una moneta, che viene solo sciacquato, infarinato e poi fritto. Le dimensioni del giotolo al fine di offrire un sapore intrigante e non invasivo sono molto importanti: se troppo grande tende all’amaro, dato dalle interiora più sviluppate.

E le tradizioni partenopee

 

Anche per Pasquale Tozzi, chef del Magnolia del Grand Hotel Fasano & Villa Principe di Gardone Riviera il fritto è qualche cosa di goloso di cui è difficile fare a meno. «Ho origini partenopee - dice Tozzi -. Mia mamma è di Battipaglia e sono cresciuto a colpi di frittura. In Campania si frigge molto ed è un tipo di cottura che fa parte di me. Mi piace non solo per il gusto che regala al palato, ma anche per il suo saper donare alle ricette un bel gioco di consistenza». Tra le preparazioni più intriganti ci racconta la sua Melanzana. Dalla polpa del vegetale ottiene una crema a cui unisce menta e origano siciliano. Prima di friggerla la congela. Una volta congelata la passa in una pastella fatta con farina di riso, acqua e il suo lievito madre liquido dal profumo particolare di fiori. Per la cottura utilizza la friggitrice a temperatura controllata e olio di semi di girasole. Viene accompagnata da una ricotta di mandorle vegana ottenuta da mandorle con la buccia e mandorle armellina, particolarmente amare, che vengono messe sotto vuoto con acqua e in seguito cotte al vapore per poi essere lasciate in infusione per 24 ore.

Dopo questo passaggio vengono frullate e passate al setaccio per ottenere il latte di mandorla in purezza che viene portato a bollore così da poter aggiungere in questa fase il succo di limone che fa cagliare il composto. Mette il tutto in un setaccio con etamina, scola il liquido in eccesso e in un paio di ore ottiene la sua ricotta.

E non poteva mancare la cotoletta

Altro piatto cult è la cotoletta alla milanese fritta in burro chiarificato home made dopo essere stata impanata con farina, uovo e pan grattato frullato grossolanamente che ricava dal pane in cassetta da lui prodotto servita nell’altro ristorante dell’hotel, il Pescatore, dove ci si può far tentare anche dal Fish and Chips di lago, fatto con salmerino, trota e agone, ottenuto grazie a una pastella in stile nordico composta da con lievito di birra, farina 00, farina di riso che rende il tutto più croccante, acqua, birra e un tuorlo di uovo, così come tradizione nordica detta. Anche il pesce viene fritto in friggitrice in olio di girasole, a suo avviso il migliore per ottenere croccantezza e qualità.

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