Ventott’anni e non sentirli. Merito di Angelo Troiani, chef di origine marchigiana e cuore romano, che sembra Dorian Gray: ha cinquant’anni ma ne dimostra meno di 40, cucina da trent’anni, ma è capace di rinnovarsi ogni giorno. Anche grazie alla sua bravura nel coltivare giovani e promettenti talenti: un’operazione già ben riuscita da Acquolina, altra insegna fondata da Angelo Troiani, che è da poco stata affidata ad Alessandro Narducci, neanche trent’anni, capace di conquistare la stella Michelin al primo giro di boa. Al Convivio c’è invece un altro cavallo di razza che si chiama Daniele Lippi, un giovane e promettente chef che era ancora in fasce quando Angelo Troiani, nel 1990, ha aperto con i fratelli Giuseppe e Massimo il ristorante che porta il nome della sua famiglia.
Un cavallo di razza, come ce ne sono pochi, da tenersi stretto: «Ogni tanto - racconta Troiani - mi dice: “Posso andare in America?” e io gli rispondo: “Certo, vai, ma poi torna”». Finora Lippi è sempre tornato ed è stato premiato dai Troiani facendo carriera, fino alla co-conduzione del Convivio. «Sono convinto - dice Troiani - che non è più il tempo degli chef superstar, che dietro in cucina avevano tanti brocchi. Nelle cucine stellate ci deve essere un’intera struttura performante, altrimenti non si può ambire a risultati internazionali». Formare e tenersi stretti i giovani più promettenti, quindi, ma lo chef smentisce di essere un talent scout: «Non sono bravo a riconoscere i diamanti grezzi al primo sguardo, succede più il contrario, sono loro che scelgono me». Questo accade non solo perché Troiani ha una stella Michelin, ma anche per la fama di insegnante che si è guadagnato, aprendo la scuola Coquis. «Vengono da me perfino i genitori di alcuni ragazzi a dirmi che vogliono iscrivere i figli, purché gli faccia fare lo stage al Convivio».
Probabilmente con il restyling del ristorante appena concluso, le quotazioni di Troiani come mentore aumenteranno ancor di più. Riaperto a inizio aprile, dopo i lavori, il Convivio ha visto una severa ristrutturazione delle sale rivolte al pubblico, con la consulenza di un art director, Leonardo Stabile: «Un amico e un creativo - dice di lui Troiani -. Dopo vent’anni sentivamo il bisogno di rinnovarci, non per puntare a un nuovo obiettivo stellato, come hanno scritto alcuni, ma proprio perché per noi il ristorante è come una casa e ogni tanto senti la necessità di rimetterci mano».
Poche idee e confuse, prima di iniziare i lavori, confessa lo chef: «Avevamo un’idea chiara solo sull’illuminazione». Il cliente, secondo Troiani, deve entrare in un ambiente con le luci soffuse, dove solo i tavoli devono essere ben illuminati, perché i protagonisti sono i piatti. Per il resto, si è scelto di esaltare il carattere storico degli ambienti, che risalgono al Cinque/Seicento, valorizzando le volte grazie all’illuminazione e facendo tesoro perfino delle imperfezioni dei muri. Il risultato sono 4 sale una diversa dall’altra, sia nell’arredamento che nella mise en place: la Galleria, dove sono state ritrovate antiche collezioni di opere; il Chiostro, il vecchio cortile dove si svolgevano tutte le attività all’aperto, dalla ferratura dei cavalli alla concia delle pelli; la Rimessa, locale che era utilizzato come deposito di carri e calessi; infine la Loggia, l’antico ingresso, ambiente di snodo che negli anni fu utilizzato come legnaia e magazzino. Altra novità è un tavolo sociale, da 14 persone, che dà un ulteriore tocco di modernità al Convivio e che presto sarà reso ancor più protagonista, promette Troiani, con la realizzazione di una zona bar all’ingresso, in cui fare l’accoglienza e offrire un aperitivo ai clienti.
Il rinnovamento non si è fermato solo all’estetica del locale, ma ha riguardato anche la carta, in cui la presenza di Lippi appare sempre più evidente. Basta dare uno sguardo al menu per capire dov’è il suo zampino: nei piatti con le date più recenti e dai nomi meno romaneggianti, si riconosce la mano del giovane Lippi, anche se l’equilibrio perfetto dei piatti, spiega Troiani, si trova sempre insieme. Così si fatica a distinguere chi ha fatto cosa, simbolo della perfetta integrazione fra i due stili: da un lato la solidità della mano di Troiani, che ha reinventato piatti della tradizione come l’amatriciana, alleggerendoli, innestandoli di tecnica e contrasti; dall’altra la fantasia e l’audacia dei vent’anni e gli echi dei viaggi di Lippi.
La carta è suddivisa in un sistema binario: la cucina degli ingredienti e gli ingredienti della cucina, un “dualismo sensoriale”, come lo chiamano. Perché se i piatti della tradizione nascono attorno a un ingrediente, chiarisce Troiani, oggi la sfida è creare piatti in cui si inseriscono nuovi ingredienti a cui fino a poco tempo fa non eravamo abituati, ma che oggi sono di uso comune, benché poco presenti nelle cucine stellate: i cosiddetti superfood, che rendono il piatto healthy, salutare. Per fare qualche esempio, l’utilizzo dell’acerola nell’Ajo e ojo gamberi rossi, limone e menta, delle bacche di goji nel Risotto zucca, curcuma e fegatelli, della spirulina nel San Pietro, finocchio e carciofi. Secondo Troiani, infatti, il concetto di fusion nella cucina italiana non può risiedere nell’importazione di intere ricette, ma di singoli ingredienti. «Ci tengo a dire che non è un’operazione commerciale, ma un mio desiderio di rinnovamento degli ingredienti, così come la scelta di certificare biologico il Convivio, un’altra idea che nella ristorazione stellata non ha avuto presa».
A fronte di tutti questi cambiamenti, qualcosa non è stato modificato: la cantina. Qui si ritrovano il gusto e la lungimiranza di Massimo Troiani, che negli anni ha accumulato quasi 40.000 bottiglie, con una selezione di etichette straordinarie sia italiane che francesi: oltre 300 tipi di Barolo (a partire dal 1961), oltre 250 etichette di vini rossi dal mondo e 120 etichette di bollicine.