Nell’immaginario collettivo la cucina del ristorante ha assunto i tratti di una sorta di atelier, dove chef artisti mettono a punto ricette fenomenali dando libero sfogo alla loro creatività. Un’immagine che affascina un numero crescente di giovani, come mostra il boom di iscrizioni registrato negli ultimi anni delle scuole alberghiere, che coltivano il sogno di diventare un giorno grandi chef di un ristorante stellato. Un successo al quale di certo ha contribuito anche la spettacolazione del mestiere, sull’onda dei tanti format televisivi che hanno dato la meritata visibilità ai grandi rappresentanti della categoria.
Come ogni cosa, però, anche nel mondo della ristorazione non è tutto oro quello che luccica. Quello della cucina è infatti un lavoro duro, fatto di turni massacranti nei quali gli operatori, a tutti i livelli, sono sottoposti a forti dosi di stress. Il problema è che in diversi casi, purtroppo non pochi, si va oltre il limite consentito. Accanto a raffinati piatti frutto di tanta ricerca, fantasia e passione esiste insomma un’altra realtà: un lato oscuro fatto di abusi e sfruttamento che convive con il primo, non solo nel settore in generale, ma spesso all’interno dello stesso ristorante. Una doppia realtà dalla quale non è immune neanche l’alta ristorazione. Questi temi sono stati al centro di uno dei focus di Doof – L’altra faccia della ristorazione, manifestazione svoltasi a Milano e organizzata da Valerio Massimo Visintin, critico gastronomico del Corriere della sera.
«Pagamenti in nero, assunzioni irregolari, bassi salari e turni di lavoro infiniti sono purtroppo molto diffusi in quasi tutti i comparti del mondo del lavoro italiano e la ristorazione non sfugge a questa triste prassi, anche nelle sue espressioni più alte – ha spiegato Enrico Camelio, docente al Pellegrino Artusi di Roma e consulente per l’alta ristorazione -. In quest’ultimo caso poi far parte della brigata di uno chef stellato contribuisce a rendere le norme che regolano il rapporto di lavoro ancora più elastiche». Lavorare in questi ambienti, affianco a personaggi di alto calibro, rappresenta un’opportunità unica per chi ambisce a un certo percorso professionale. Così si finisce per l’accettare e far diventare quotidianità abusi di ogni tipo, a partire da salari molte volte inadeguati per la mole di lavoro che ci si sobbarca. In pratica, parte dello stipendio diventa la possibilità di poter scrivere il tale nome sul proprio curriculum.
Doppi turni, con orari senza limiti, sono un’altra triste realtà che fa sì che per tanti l’approdo in una cucina, dall’ambito posto in paradiso, si trasformi in una pena infernale. Non a caso il tour over è abbastanza alto e così come sono molti quelli che aspirano a entrare nel settore, ve ne sono tanti che rinunciano.
In un ristorante stellato tutto è all’estremo. Bisogna sempre essere al massimo, perché tutto deve essere perfetto, sempre: ne va del buon nome del locale e dello chef. Il livello di stress pertanto è molto elevato e bisogna sempre dimostrare di essere all’altezza della situazione. In un tale contesto pertanto anche i rapporti con i colleghi non siano sempre idilliaci, come del resto avviene in tutti i posti di lavoro dove la tensione è massima e la parola errore non è contemplata. Far parte di una brigata, sia per il numero che ci si trova a lavorare fianco a fianco in un piccolo ambiente, sia per la necessaria coordinazione indispensabile al perfetto funzionamento della macchina, diventa un po’ come far parte di una famiglia, nel bene e nel male.
Il punto è che talvolta e, purtroppo, si va decisamente oltre le righe. «Maltrattamenti, pressioni di ogni tipo, casi di mobbing, non sono una rarità, come non lo sono anche le vessazioni fisiche per chi commette uno sbaglio – ha raccontato Jacopo Bianchi, ex cuoco con numerose esperienze in Italia e all’estero -. Episodi che ho vissuto in prima persona e in quasi tutti i ristoranti dove ho lavorato, sia in Italia sia all’estero».
«Se il rimprovero del capo o le urla dei colleghi fanno parte dell’esperienza di ogni lavoratore e contribuiscono alla sua crescita, varcare certi limiti non è assolutamente accettabile – ha concluso Emanuele Gnemmi, docente della scuola Alberghiera di Stresa -. È vero che ciò accade, tanto che anche con la nostra scuola abbiamo rotto i rapporti con alcune realtà dove certi comportamenti erano quasi una prassi consolidata».