Per sette anni (sono, in numero, quelli biblici delle vacche magre) si mangia quanto c’è, cucinandolo come si può (...). Poi, lentamente, quasi senza che ce ne accorgiamo, la normalità ritorna. Il passaggio è tratto dal libro dello scrittore e giornalista Massimo Alberini, "Storia del pranzo all’italiana. Dal triclinio allo snack" (Rizzoli, 1966), pietra miliare della storia della gastronomia. Poche righe per riferire il dramma della seconda guerra mondiale, lo shock che colpì anche il “mangiar bene” italiano e il percorso di recupero verso le tavole imbandite del successivo boom economico. La “guerra” di oggi contro l’insidioso coronavirus è tutt’altra cosa, ma di sicuro le conseguenze economiche per il settore del fuori casa sono pesantissime. Ancora non sappiamo se la normalità, per la ristorazione come per tutto il sistema economico, tornerà in tempi brevi. Difficile che torni ad essere la normalità di prima.
Cogliere le opportunità
«Quel che è certo è che ora il ristoratore deve cogliere tutte le opportunità che l’innovazione offre, stare al passo e attrezzarsi aggiustando il business - spiega Giacomo Pini, consulente e titolare di Gp Studios -. La prospettiva, pur con tutta l’incertezza che abbiamo a oggi, è di un semestre/un anno in cui si dovrà rinunciare a un 50% di coperti - ed è una stima prudenziale - a causa delle restrizioni che potrebbero essere necessarie per tenere sotto controllo la pandemia da coronavirus».
Il ristorante dell'immediato futuro non potrà che ridisegnarsi attorno a tre pilastri: la sala, fortemente ridimensionata; il servizio di consegna dei pasti; il take away.
Sonia Re, direttore generale della Associazione professionale cuochi italiani, vede «un grande vuoto sul tema della sala. Oltre ai coperti in meno, ci sarà da ridisegnare il rapporto con il cliente dal punto di vista psicologico. La cena al ristorante rischia di perdere in valore, come esperienza. In assenza di certezze, ora dobbiamo concentrarci su rafforzare gli altri pilastri».
Si fa presto a dire delivery. I ristoratori che hanno scelto di aprire solo per i servizi di consegna a domicilio durante le settimane di lockdown “stretto”, a marzo e aprile, sono stati circa il 30-35% di quelli normalmente presenti sulle grandi piattaforme digitali - ce lo confermano i vertici di Deliveroo e Glovo. Esercenti che hanno visto una crescita a doppia cifra rispetto ai volumi di delivery pre-Covid, anche perché avvantaggiati dalla minor concorrenza. Il profilo dell’utente medio è cambiato: dal lavoratore con poco tempo a disposizione alle famiglie e agli studenti, chiusi in casa per la quarantena.
Un mercato maturato
Elisa Pagliarani, general manager di Glovo Italia, spiega a Ristoranti che «c’è stata una accelerazione della maturazione del mercato italiano. Il percorso era già in atto, non mi aspetto che con la graduale riapertura dei ristoranti torniamo al livello pre-pandemia. I nostri consumatori hanno scoperto i nostri servizi e molti resteranno, anche se è impossibile quantificare quanti saranno».
«Sarà una quota importate», aggiunge Matteo Sarzana, general manager di Deliveroo Italia.
Attenzione, però, a tenere ben presenti i confini di questo fenomeno. Spiega il consulente Pini: «Il delivery ora è uno strumento utile. Aiuta a fare cassa e a mantenere una relazione con il cliente, se fatto bene. Ma nel medio lungo periodo il ristorante come lo conosciamo oggi non può reggersi completamente su questo canale. Potrà restare, rafforzato, come parte delle strategia, ma solo affrontando alcune riflessioni. Come gestire gli spazi della cucina? Il prodotto per il delivery viaggia su una linea separata? Con un menu suo? Con quali prezzi?». Per Matteo Sarzana (Deliveroo), lo sforzo si riassume in una parola: sperimentazione. «Di una nuova relazione con il cliente. Manca il contatto fisico che normalmente si gestisce in sala, quindi diventano importantissimi anche solo un messaggio inserito dentro il pack e un omaggio, che crei legame e fiducia. Teniamo presente che i clienti si servono normalmente di un panel ristretto di ristoranti, è fondamentale fidelizzarli. Altro aspetto: ripensare la struttura del piatto per la consegna, perché arrivi integro e non perda le sue qualità». A volte può bastare separare le salse o ridurre il numero di elementi a contorno della pietanza principale.
Pensare al menu
L’altro pilastro strategico è la revisione del menu. Spiega Pagliarani di Glovo: «Va semplificato il più possibile, senza snaturarlo. Chi ordina un pasto su una app sceglie più in fretta di chi consulta un menu al tavolo, quindi deve trovare una lista chiara e concisa. Il più delle volte sono sufficienti i best seller. Noi facciamo una “consulenza” ai nostri partner proprio sulla progettazione di un menu ad hoc, che si basa anche sui dati di vendita ricavati dalla piattaforma».
Creare un menu diverso e dedicato è anche il primo passo verso una evoluzione: far esordire un virtual brand. Di cosa si tratta? Un ristorante che propone un certo tipo di cucina crea un marchio completamente diverso, che vive solo virtualmente sulle piattaforme di consegna. Alimentato da una seconda linea in cucina. Serve un approccio manageriale, e le domande da porsi sono queste: riesco a creare delle economie di scala, ottimizzando personale e approvvigionamenti? Con quale tipo di offerta e quale menu? Quali materie prime comuni alle due linee posso usare? Posso rinegoziare dei prezzi con i fornitori? La linea pensata per il brand “virtuale” incontra i gusti del cliente tipo e le tendenze sul mio territorio? I piatti sono facili da trasportare e garantiscono marginalità, anche considerando le provvigioni della piattaforma - sia essa uno dei grandi aggregatori o un servizio organizzato in proprio? Da ultimo, ma non per importanza: ho le forze per gestire una comunicazione e uno sforzo di marketing separati per un brand in più?
Un'opportunità per l'alta ristorazione
Secondo Sonia Re di Apci, «la ristorazione medio alta può puntare più di tutti a conquistare spazio con le consegne nella fascia serale e con i business lunch. Intercettando chi preferirà fare pausa pranzo in ufficio senza rinunciare a piatti cucinati di qualità. Per farlo bisogna chiarire l’offerta al cliente, facendolo sentire sicuro - quindi spiegando e mostrando tutto quello che si fa per garantire igiene e sicurezza in cucina e in consegna - e adattandosi alle sue aspettative - spiegando passo passo come va ultimato e scaldato il piatto, per esempio. Il trasporto è un problema in alcuni casi. Qui parlo per la categoria: riscontriamo un grande disappunto rispetto alle provvigioni dei grandi aggregatori, che arrivano fino al 30%. Bisogna ponderare bene la scelta, visto che è innegabile il vantaggio di queste piattaforme nell’abbassamento dei costi di marketing e comunicazione. Secondo punto, la qualità di alcuni servizi di fattorinaggio non è compatibile con le esigenze della ristorazione medio-alta». Meglio fare da soli? «Meglio fare scouting - lo abbiamo fatto anche noi come Associazione - tra le start up e le soluzioni tecnologiche che aiutano ad essere indipendenti».
Soluzioni per le consegne
Ci sono soluzioni per crearsi una applicazione personalizzata e brandizzata col proprio nome e logo per raccogliere gli ordini, legata a un gestionale per gestirli; ci sono servizi di noleggio di hot box (un “bauletto” può costare anche 1.800 euro, a fronte di canoni di noleggio sotto i 50 euro mensili e con formule flessibili) o di servizi a pacchetto di solo fattorinaggio, con personale munito di mezzi e impiego modulabile al bisogno. «Non è escluso che alcune strutture possano scegliere di riutilizzare per le consegne il personale di sala in eccedenza. Aiuterebbe a veicolare l’immagine umana del ristorante, a mantenere un contatto più profondo con il cliente e a non rinunciare al lavoro di collaboratori già in organico».
L'evoluzione in impresa della gastronomia
«il ristorante, secondo la Disciplina del Commercio Regionale, deve trasformarsi da bottega incentrata sulla somministrazione a impresa della gastronomia - afferma Massimo Artorige Giubilesi, tecnologo alimentare presidente di Giubilesi & Associati e di FCSI Italia -. La sfida attuale prevede di rivalutare sia le opportunità già consentite da dieci anni (non solo la somministrazione, ma anche la vendita di ciò che si produce all’interno del ristorante con la relativa consegna a domicilio) che di sviluppare nuovi servizi organizzati con nuove autorizzazioni per effettuare la vendita in proprio di prodotti commercializzati tramite sistemi tradizionali e di commercio elettronico in proprio. Attenzione al rispetto delle regole igienico-sanitarie, di etichettatura e modalità di trasporto degli alimenti, di informazione ai consumatori in materia di prodotti congelati/surgelati e di sostanze allergeniche, di sanificazione degli ambienti e dei mezzi/contenitori di trasporto che devono essere implementate sia nel Piano HACCP (sicurezza degli alimenti) che nel DVR (sicurezza nei luoghi di lavoro)». Fondamentale informarsi bene, vista la miriade di regole e norme emanate anche a livello locale negli ultimi mesi. Ma attenzione a non farsi prendere la mano, quando si parla di sanificazione degli ambienti.
Sanificazione intelligente
Spiega Stefania Verrienti, segretario generale Afidamp (Associazione dei
Fabbricanti e Distributori Italiani di Macchine, Prodotti e Attrezzi per la Pulizia Professionale e l’Igiene degli ambienti) che «particolare attenzione va posta alle superfici e agli oggetti che restano a contatto con più persone e ai prodotti utilizzati - l’Istituto superiore di Sanità raccomanda ipoclorito di sodio e soluzioni idroalcoliche al 70%. Assieme alla Fipe stiamo consigliando le buone pratiche agli operatori (scarica qui il documento). Il ristoratore può attivarsi anche in proprio, per una efficace pulizia e sanificazione, senza per forza spendere cifre esorbitanti».