Sul carro dei vini biologici oggi ci saltano un po’ tutti. I friulani Radikon lo fanno dal 1995 con rigore, riducendo al minimo i trattamenti e senza impiego di sostanze dannose
Se produrre vino richiede passione farlo come Stanko Radikon la esige. Perché vinificare in modo naturale, cioè senza ricorso alla chimica, è faticoso e non sempre compreso nel giusto valore.
E perché, senza un quadro normativo preciso, questa rischia di essere terra di nessuno. O di tutti. «Sul carro del biologico stanno salendo in molti, ma nel nostro mondo ci sono molte questioni irrisolte. La prima è che gli enti cui ci si rivolge per far certificare la propria produzione alla fine esauriscono il loro compito nel controllo dei registri. Forse anche per questo ci sono in giro tante etichette presunte “bio” che nessuno conosce». Non a caso i produttori di vini naturali non si sottopongono necessariamente a certificazione, distinguendosi così dai vini bio.
Nessun compromesso
Situata sull’altura di Oslavia (frazione del Comune di Gorizia) l’azienda agricola Radikon opera su 12 ettari di superficie vitata (di cui 5,5 in affitto), producendo 30.000 bottiglie all’anno, da litro e da 50 cl. La produzione comprende tre bianchi, Ribolla Gialla, Jacot e Oslavje, e un rosso, un Merlot 100% in purezza. Su terreno costituito principalmente da un’argilla chiamata “ponca” gli impianti hanno densità molto elevata e la vite produce meno uva, ma di qualità più alta. Per ogni pianta si lasciano solo 4-5 grappoli, il che, unito a un’adeguata sfogliatura, garantisce il mantenimento del giusto apporto di sole, sali minerali e sostanze nutritive ai grappoli. «I trattamenti - spiega Radikon - sono ridotti al minimo e senza sostanze dannose per l’uomo e per l’ambiente: dalla produzione abbiamo eliminato erbicidi, fitosanitari sistemici, insetticidi, concimi di sintesi». Ne derivano vini particolari, frutto dell’estrazione massima dalle uve attraverso macerazioni in tini di rovere che possono durare mesi, di permanenza in botte per 4 anni e in bottiglia per un altro anno e mezzo e che non dovrebbero mai, nemmeno i bianchi, conoscere il frigorifero.